La grotta prende il nome da due statuine, dette Veneri, raffiguranti donne in stato di gravidanza, scolpite in osso di cavallo, risalenti ad un periodo compreso tra 12.000 anni e 14.000 anni fa. Il ritrovamento avvenuto nel 1965 ad opera del prof. Giuseppe Piscopo, aiutato da altri volontari fra cui il prof. Antonio Greco, ebbe il merito di imporre all’attenzione della cultura scientifica una scoperta di rilevanza internazionale. Questo genere di statuine paleolitiche, diffuse con notevole uniformità dai Pirenei alle pianure russe, rappresenterebbe il culto della maternità e della fertilità e possono essere considerate importanti espressioni d’arte, di altissimo pregio artistico, stilistico e tecnico.

{affiliatetextads 1,,_plugin}I due esemplari parabitani differiscono dalle altre veneri dell’Europa per l’atteggiamento delle braccia che si riuniscono al ventre, caratteristica che invece ha forti analogie con le statuette rinvenute nelle lontane pianure russe. Ciò fa pensare, se non proprio ad un rapporto diretto tra queste due grandi aree culturali almeno alla convergenza di gusti formali che caratterizzavano i gruppi umani, dei quali le Veneri costituiscono parte della produzione artistica.