Il risultato finale è quasi una bestemmia ai tempi del decreto Ronchi. Il ddl trasforma il più grande acquedotto d'Europa in un «soggetto di diritto pubblico senza finalità di lucro che persegue il pareggio di bilancio» (art. 5). La regione pagherà di tasca propria una quota minima vitale di acqua (stabilita in base alle tabelle Oms) a ogni cittadino pugliese. Tra i nuovi principi che regolano il «servizio idrico integrato» (art. 2) si stabilisce che deve essere «privo di rilevanza economica e sottratto alle regole della concorrenza», affidato «esclusivamente» a una «azienda pubblica regionale» in grado di garantirlo secondo «efficacia, efficienza, trasparenza, equità sociale, solidarietà, senza finalità lucrativa e nel rispetto dei diritti delle generazioni future e degli equilibri ecologici». La regione istituirà due fondi per l'acqua: il primo garantirà i livelli essenziali a livello locale, il secondo (fondo di solidarietà internazionale) finanzierà il sostegno a progetti di «cooperazione decentrata e partecipata» nei paesi in via di sviluppo.

{affiliatetextads 1,,_plugin}Il ddl precisa infine che gli eventuali utili nel bilancio dell'Aqp saranno finalizzati «esclusivamente al miglioramento del servizio». Ma come sarà gestita in concreto la nuova società? Il ddl prevede un «consiglio di sorveglianza» aperto a «lavoratori, associazioni ambientaliste, consumatori, sindacati e rappresentanti di comuni e cittadini». Ai vertici dell'Aqp siederanno un presidente e un vicepresidente scelti direttamente dal presidente della regione.
Gli altri tre membri del consiglio di amministrazione invece saranno eletti da un'assemblea di tutti i comuni pugliesi, in base al principio una testa, un voto. Ogni sindaco esprimerà al massimo due preferenze e avrà tanti voti quanti sono i cittadini residenti nel comune all'ultimo censimento. I vertici durano in carica tre anni, possono essere rinnovati una sola volta anche non consecutiva e in caso di gravi inadempienze o inerzia possono essere revocati dal presidente della regione.

Soddisfatti i comitati pugliesi. «E' un disegno di legge inedito nel merito e nel metodo - commenta Margherita Ciervo del comitato regionale «acqua bene comune» - primo perché si sceglie una ripubblicizzazione vera e la partecipazione». E poi perché «sicuramente è la prima volta in Italia e forse anche in Europa che una legge sull'acqua viene scritta in modo congiunto da istituzioni e comitati attraverso un tavolo ufficiale e non una semplice consultazione».
Ovviamente la strada dell'approvazione definitiva non è priva di difficoltà. Finora l'Aqp era una spa a totale partecipazione pubblica. Per prima cosa la Puglia (che possiede l'87% delle azioni) dovrà comprare il restante 13% dalla regione Basilicata. Secondo una stima di Ernst & Young si tratta di una spesa di 12,2 milioni di euro. E poi ci si aspetta sicuramente una battaglia col governo Berlusconi. «La concessione dell'Aqp scade nel 2018 - spiega Amati - sembra lontano ma per la burocrazia è un attimo». Senza contare che non tutto il Pd (vedi area dalemiana) è favorevole a una soluzione di questo tipo per la gestione dell'acqua.
Ma che in Puglia la questione sia piuttosto sentita dai cittadini lo dimostrano le firme raccolte per i tre referendum sull'acqua pubblica: in soli tre week-end ne sono state raccolte 48mila. Ben oltre l'obiettivo prefissato e già quasi un decimo del totale necessario. Sarà un autunno caldo.

Qui di seguito il comunicato stampa diffuso dalla Regione e il link dal quale potete scaricare il testo di legge:
http://www.regione.puglia.it/web/files/Risorse%20Naturali/Relazione_illustrativa_e__DDL__acqua.pdf