Giurdignano (LE), il giardino megalitico
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Non fu un caso, infatti, se anche la viaggiatrice e scrittrice Janet Ross scrisse sui dolmen salentini. Ma si deve soprattutto al Maggiulli e - più tardi - al de Giorgi se i monumenti megaliti furono quantomeno segnalati. Tuttavia, per molti anni sfuggì quasi a tutti l'imponenza e l'importanza di questo enorme patrimonio. Basti pensare che lo stesso De Giorgi, proprio a Giurdignano riferisce che nel lontano 1893 "i vecchi contadini del luogo però mi assicurano che parecchi altri esistessero in quella contrada nella metà del secolo scorso, e che furono atterrati quando cominciò a farsi il dissodamento di quei terreni sino ad allora macchiosi e abbandonati al pascolo degli armenti".
I primi tentativi di valorizzazione si devono dunque a questi studiosi come Michele Gervasio (1913 I dolmen e la cività del bronzo nelle Puglie) il quale affermò che "Le loro grandiose proporzioni impongono pur oggi rispetto e risvegliano in noi un certo senso di religione. Solitari e maestosi tra il verde dei mandorli e l'ombra degli ulivi. Ancora oggi , uno studio sistematico ed approfondito di questi monumenti attende di essere effettuato, ma quello che conserva Giurdignano è un vero e proprio tesoro, il "giardino megalitico d'Italia" è il punto di congiunzione, assieme alle isole come la Sardegna tra il Mediterraneo e l'Europa, dell'antichissima civiltà dei megaliti. Diciotto menhir e sette dolmen, resti di costruzione megalitiche, siti da indagare e segnalazioni di nuovi monumenti (come il dolmen di Santabarbara). In pochi passi, a Giurdignano, si può fare un percorso a ritroso verso un periodo ancestrale della storia dell'umanità, seguendo tracce ora lievi ora maestose. Un vero e proprio percorso in grado di affascinare chiunque.
Comprendere quanti menhir ci siano a Giurdignano è un'impresa - ancora oggi - difficile. Basti pensare che alcuni di essi , ancora integri, oppure ridotti a resti, sono conservati anche all'interno di civili abitazioni, o di corti e giardini. Un borgo fatto di menhir, si potrebbe dire, dove - in alcuni casi - interi elementi architettonici sono composti da resti di megaliti. I menhir censiti ufficialmente sono ben diciotto l'elenco ne comprende nove ormai privi di nome. Gli altri sono: "Croce della Fausa" sulla strada per Otranto: Madonna di Costantinopoli, presso l'omonima cappella: San Vincenzo, nei pressi della cripta di San Salvatore; Palanzano, presso il villaggio rupestre posto lungo la linea ferroviaria: Pastorizia, non più localizzabile; Monte Tongolo, sulla strada per Otranto; Vicinanze 1 e Vicinanze 2, presso l'omonima località ed il menhir di San Paolo. Ma basta percorrere il borgo e le campagne, ad esempio, per ammirare già nel centro cittadino i menhir di Vico Nuovo, il menhir Croce della Fausa, posto su di una basamento circolare, quello di Santa Maria di Costantinopoli ed il menhir di San Vincenzo. Appena fuori dall'abitato troviamo lo splendido menhir di San Paolo.
Si tratta di uno degli esempi più interessanti di sincretismo religioso. E' uno dei più piccoli monumenti megalitici di Giurdignano (alto poco più di due metri), è posto su di un basamento di roccia. Proprio per la sua conformazione è facile constatare una delle caratteristiche principali dei menhir di Giurdignano: possiedono tutti un foro sulla sommità. Come tutti gli altri è costruito in asse Est-Ovest. Il basamento è interamente scavato, questa caratteristica pone le premesse per una teoria secondo la quale al suo interno si ospitavano sepolture rituali, tuttavia non vi è nessun supporto archeologico che lo possa confermare. In questa piccola apertura è presente un affresco che riprende il tema di San Paolo e la taranta, facendo riferimento al culto magico-religioso del tarantismo. Siamo dunque in presenza di un importantissimo esempio che testimonia la transizione dai culti ancestrali dell'area mediterranea a quello cristiano. Con l'editto di Teodosio, infatti, la religione cristiana diviene religione dell'impero e si ordina l'abbattimento dei monumenti culto pagani tra cui i menhir. La forte resistenza delle popolazioni fece raggiungere un compromesso a cui seguì l'opera di progressiva "cristianizzazione" di questi luoghi. Se osserviamo attentamente questo menhir vedremo una croce incisa. A meno di 400 mt. di distanza si trova il menhir Vicinanze che possiede due croci incise sulla faccia rivolta a Sud. Dopo 300 mt., incontriamo il menhir Vicinanze 2, posto si di un basamento molto suggestivo e circondato dagli ulivi.
I dolmen ancora integri presso Giurdignano sono ben sette, ma di molti altri si ha notizia, sebbene i loro resti non siano più localizzabili. Si tratta di un percorso a dir poco affascinante che ci porta all'esempio del dolmen Orfine ascrivibile a quello dello Stabile con probabile funzione di "altare". Il dolmen Orfine, posto in un fondo a destra della strada che conduce a Minervino, si presenta con una piccola lastra. Il De Giorgi, invece, lo descrive con un grande lastrone di 2,3 metri per 1,5 sorretto da otto pietre. Dal lato opposto della strada troviamo il dolmen Peschio con un enorme lastrone e le pietre di sostegno quasi tutte crollate. Il lastrone è inciso con scanalatura e foro. Il dolmen Chiancuse è anch'esso molto grande ma in cattivo stato di conservazione. Nei pressi, nello stesso fondo, vi è un enorme lastrone megalitico che copre una cisterna. Poco oltre vi sono i dolmen "gemelli" Grassi, si tratta di un esempio unico in tutta Italia. In direzione di Minervino c'è il dolmen Gravasce. Anche questo mostra incisioni sul bordo. In direzione di Giuggianello vi è il fondo Quattromacine dove è ubicato il dolmen Stabile. Il monumento si presenta con un'imponente pietra orizzontale sostenuta da altre tre e da numerose pietre più piccole.
Secondo molti studiosi, il dolmen Stabile era una sorta di altare, circondato da un'enorme costruzione megalitica. Per la sua eventuale ricostruzione si spera nel ritrovamento di alcuni bozzetti del De Giorgi ancora non censiti. I due segni incisi sulla lastra orizzontale puntano verso il punto in cui sorge il sole da Capo d'Otranto nel giorno del solstizio d'estate ed in quello del tramonto. Tutta l'area è disseminata di enormi lastroni in pietra che presentano incisioni di vario genere. Per alcuni si tratta dei resti di una sorta di Stonhenge italiana perduta per sempre nella prima metà del Novecento. piccole pietre, il lastrone mostra, sulla superficie, un bordo inciso e due segni che convergono aformare una V, nelle vicinanze si possono vedere delle pozzelle con canaletti di scolo.