Liberò Bari dai nazisti Il Comune gli paga le cure
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L’altro pomeriggio anche il sindaco, Michele Emiliano, lo ha voluto salutare. Una visita istituzionale importante. Il primo cittadino, infatti, ha disposto un contributo straordinario di 3mila euro ed una più completa forma di assistenza domiciliare (i servizi sociali comunque seguivano l’anziano) per l’ex ragazzino che fermò i tedeschi. Per lui si sono mobilitati anche i tifosi del Bari calcio. Ed è scesa in campo l’Uisp.
Michele, comunista da generazioni, il cordone ombelicale con la città vecchia non l’ha mai reciso. Ha continuato ad abitare con la sorella (anziana e indigente anche lei) in via San Marco 50. A due passi da dove la storia gli diede appuntamento. Viveva con la pensione sociale dopo aver lavorato come portuale, prima e guardiano dei bagni pubblici, dopo.
La sua reazione, il 9 settembre del 1943, documentata attraverso testimonianze, insieme con la strage antifascista di via Nicolò Dell’Arca del 28 luglio, è servita a far sì che Bari ottenesse la medaglia d’oro al valor civile, tre anni fa.
Ma cosa fece questo scugnizzo nato e cresciuto all’ombra di San Nicola? Quel giorno lo ha raccontato - in dialetto - una serie infinita di volte. Aveva 14 anni. Un reparto di guastatori tedeschi entra nel porto, affonda quattro navi ormeggiate, danneggia le attrezzature. La reazione dei militari italiani non si fa attendere. Battaglia di ore. Poi, gli alleati di una volta, chiamano i rinforzi. Arrivano sei tra auto e camionette della divisione corazzata Goering. Truppe scelte. Quasi tutti paracadutisti. La colonna sbuca all’altezza del molo di Sant’Antonio e si dirige verso l’arco della basilica di San Nicola.
Romito racconta: «Si sparava, c’era fumo dovunque. Andammo di corsa dietro l’ospedale consorziale, in piazza San Pietro. C’era il generale Bellomo con altri soldati. Era leggermente ferito. Ci disse: “Dovete difendere le vostre case, la vostra città”. Ci fece vedere alcune casse piene di bombe a mano. Erano quelle rosse, del tipo Balilla. Tutti noi ne prendemmo alcune. Io ne presi sei: due in mano e quattro infilate nella maglietta. Lungo le mura, a carponi, raggiunsi il ponte di San Nicola. Mi nascosi dietro un lampione. Allora la balaustra non c’era ed io ero mingherlino».
I mezzi tedeschi avanzano. Il primo supera l’arco e si blocca. Il secondo lo segue. «Era armato con una torretta da cui spuntava una mitragliatrice. Volevano entrare a Bari vecchia, dove c’erano le nostre case, le nostre famiglie. Io tirai una bomba a mano dall’alto prima che il mezzo arrivasse sul tombino stradale. Esplose sulla torretta. Lanciai anche la seconda mirando al serbatoio e fu un inferno. Il camion prese completamente fuoco. Così l’ingresso dei bastioni restò bloccato. Corsi verso piazza San Pietro».
I tedeschi sono sorpresi dalla reazione, frastornati. E soprattutto non possano andare nè avanti, nè indietro. Così trattano la resa. Ha sempre detto Romito: «Quando ormai era tutto finito, in piazza arrivarono alcune decine di bersaglieri in bicicletta. Ma avevamo già fatto tutto noi. I tedeschi si erano arresi».
Alla fine della battaglia per la difesa del porto muoiono 4 italiani, compreso un civile (il giornalaio Giuseppe Barnaba) e 7 tedeschi. I duecento che si arrendono vengono rilasciati e fatti ripartire. A Barletta commetteranno una delle tante stragi italiane.
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