Michele Sanseverino: separo il petrolio dall’acqua, ecco il mio brevetto per Obama
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Perché a differenza della Lombardia (la Regione Puglia per contribuire a risolvere l’inquinamento del Lambro propose il progetto della Fluidotecnica, senza ricevere nemmeno un no formale) gli Stati Uniti sono interessati a conoscere «l’acceleratore di separazione» - questo il nome del brevetto depositato nel 1995 e realizzato sei anni dopo - cioè la macchina che separa l’acqua dagli olii, semplicemente per «precipitazione». L’enorme macchia di petrolio che ha inquinato il golfo del Messico, le coste degli Usa finora non ha conosciuto ostacoli veri e dunque l’idea - letteralmente l’idea - di Sanseverino potrebbe essere la panacea.
{affiliatetextads 1,,_plugin}Michele Sanseverino, chi è lei?
«Sono nato a Bari 57 anni fa, ho due figlie, una che studia canto lirico e l’altra ingegneria; ma non ho in tasca nessun diploma, avendo smesso di studiare al quarto anno del corso per perito industriale. Ho lavorato in aziende meccaniche specializzate in oleodinamiche e nel 1997 ho aperto la Fluidotecnica, per realizzare le idee che avevamo nel cassetto. Nell’edificio della zona industriale lavoriamo in cinque: io, tre tecnici e un amministrativo, ma abbiamo trenta collaboratori tra ingegneri e biologi: nella ricerca ho investito 2 milioni, il ricavato della mia attività, perché non ho mai avuto un euro di finanziamento pubblico».
Chi è stato il primo cliente importante?
«La Fiat di Pomigliano aveva bisogno di pulire le vasche di lavaggio degli stampi, ma senza più sprecare acqua, fino a quel momento sprecata in enorme quantità e non riutilizzabile. Si è rivolta a noi ed è rimasta soddisfatta».
La sua invenzione in cosa consiste?
«L’impianto si basa su alcune pompe che, tramite galleggianti, aspirano i fluidi inquinati, tutto ciò che è inferiore alla densità 1, quella dell’acqua. Le sostanze finiscono in alcune camere dove vengono separati gli oli dall’acqua, ma senza additivi chimici».
Chi si rivolge a voi?
«Fiat, Bosch, Magneti Marelli, aziende dell’Oman, dell’Australia».
Gli affari vanno bene?
«Reinvestiamo tutto, anche i risparmi. Il fatturato dello scorso anno è stato molto basso, non solo per la crisi, ma anche perché il settore ecologico, dove vorremmo lavorare, è difficilmente penetrabile. Tuttavia stiamo seminando soprattutto all’estero: siamo stati alla fiera di Istanbul, di Perth e tra luglio e agosto saremo all’Expo di Shanghai, selezionati tra le eccellenze del sistema industriale italiano».
Come è avvenuto il contatto con gli Usa?
«Tutto è iniziato durante la crisi del Lambro: ci siamo rivolti all’assessore pugliese Onofrio Introna perché proponesse al collega lombardo la nostra tecnologia, che lui già conosceva. Così è stato, ma da Milano non abbiamo avuto alcun riscontro. Quando è scoppiata la crisi nel golfo del Messico abbiamo ricontattato la Regione e Vendola, dimostrando grande sensibilità, ha scritto all’ambasciatore Usa che gli ha risposto comunicandogli che presto ci avrebbe contatto direttamente».
Ma siete in grado di affrontare un tale impegno? E quanto può costare?
«Siamo pronti: abbiamo attivato il distretto della meccanica, perché si operi in pool e al meglio. La singola macchina, la più grande, costa 300mila euro e basta un solo tecnico per farla funzionare. Avremmo garantito il disinquinamento del Lambro con dieci macchine».
Operate anche in mare?
«Lo abbiamo già fatto. Sono sicuro di ciò che posso offrire: se in America stanno utilizzando una tecnologia che vale 1 io posso offrirne una che vale 8. E sarei felice di fare quel lavoro, non solo perché certo dei risultati, ma anche per la filiera produttiva che si innesterebbe».
17 maggio 2010