La rinascita del Petruzzelli, uno dei teatri più belli del mondo e sicuramente oggi il più moderno al mondo, meritava qualcosa di più delle due dirette pane e salame (a dire la verità una leggermente meno trita dell'altra ma non dico quale) {affiliatetextads 1,,_plugin}fatte dalle due eterne emittenti bi-locali con vista teleammorba e anatemasud (non pervenute telebani, telerregime, e soprattutto Raiset, per non parlare di circuiti internazionali). Una sagra di paese, l'aveva definita Salvatore Tatarella, una farsa istituzionale invece era la nostra definizione: pur di non lasciare posti vuoti abbiamo visto anche Michele Cappiello, non si sa a titolo di che, zoppicare verso l'ingresso laterale con tanto di pass...mah...

La zona rossa creata attorno al teatro ha tenuto lontani quei monelli di Rifondazione, dei Comunisti e dell'UDU. Tutto è stato più che tranquillo, smorto oserei dire. Un migliaio di cittadini qualsiasi, moltissimi giovani, si sono guardati lo spettacolo dal maxischermo di via Alberto Sordi: e hanno visto lo gnamm gnamm veramente poco elegante di maschietti e femminucce rampatissime (a proposito, controlliamo in ortopedia quanta gente è caduta dai tacchi da 14 cm, per piacere). Uno spettacolo deprimente, quasi quanto il discorso di Francesco Schittulli (ma che ha detto alla fine? Schittulli è negato per i discorsi, anche se glieli scrive il suo zelantissimo ufficio stampa). Un applauso a Michele Emiliano, un applausone a Nichi Vendola, qualche Buuu subito rientrato a Gianni Letta che, tutto sommato, ha detto cose buone e condivisibili, con rapidi e casti cenni alla diatriba perenne che ancora vede in discussione la proprietà del teatro. Le sciabolate dei cameramen all'interno del teatro, intanto, ci restituivano immagini di bellezza sconvolgente, fra le luci ed il rosso dominante, e poi le quinte acustiche e quella cupola che diventa un maxischermo con gli effetti speciali.

Gli spettatori scomparivano all'interno di tanta lussuriosa fascinazione. Sembravano piccoli e insignificanti, i maschi con le loro cravatte e le femmine con le toilette che volevano insieme unire la iattanza del potere con la (finta) modestia del momento solenne. Ne abbiamo viste davvero di ridicole all'ingresso. Ma in quello scrigno atemporale, in quella sorta di arca di Noè primordiale che rutilava di luce propria, tutto scompariva.

Il Petruzzelli poi ha parlato: prima con le immagini sulla cupola, immagini e suoni e fiamme apocalittiche e poi quel lunghissimo sostenuto del "Casta Diva" nella voce aliena ed immensa di Maria Callas, la sfida alla sfiga, a quella Norma che fu la pietra tombale del nostro teatro. E poi nella musica. La musica davvero si è ripresa tutta la sua parte, si è impossessata di ogni spazio e pure noi all'esterno, l'abbiamo sentita vibrare nelle mura possenti fin sopra la cupola, ancora illuminata dalla luna che appena ieri era luna piena. Eravamo un migliaio, fuori a sentire. Prima Mameli e poi Lei, la Nona, la gigantesca tra le sinfonie, quella che non diventa pmai banale anche al centesimo ascolto. Chi è stato in piedi fuori per un'ora e venti senza riuscire a muoversi da quella fascinazione, ascoltando, appaludendo, scuotendo il capo per l'emozione, è comunque riuscito a essere parte dell'evento. Lor Signori, insomma, la festa non ce l'hanno guastata.

E oggi si replica: e saremo in quell'utero splendente e sonoro, alle radici stesse della nostra umanità. Bari è più bella da stanotte. Ora tocca a noi non spezzare mai questa magia, non farcela portare più via da nessuno. Perchè ci proveranno ancora, state sicuri. Ma noi resisteremo.

Fortunata Dell'Orzo per Barilive.it