{affiliatetextads 1,,_plugin}«La situazione è ancora molto diffi­cile — ha confermato ieri Pietro De Biasi, responsabile delle relazioni sin­dacali del gruppo Riva a margine del congresso della Uilm, — registriamo un grave e perdurante calo della do­manda di acciaio mentre i consumi ri­mangono molto bassi. Per noi, di fron­te a questa realtà, è difficile fare pro­nostici per il futuro, non siamo oggi in grado di capire dai segnali di mer­cato se ci sarà una ripresa. Dobbiamo difenderci dalla concorrenza sleale e dal dumping. I segnali positivi di lu­glio ed agosto non sono stati confer­mati dai mesi successivi, ma noi ab­biamo voluto ugualmente scommette­re sulla ripresa». L’azienda ha manifestato questo ot­timismo annunciando la riattivazione di un secondo altoforno e riportando la produzione al cinquanta per cento delle potenzialità dell’impianto taran­tino. «Purtroppo — aggiunge De Bia­si — nei prossimi mesi, in assenza di segnali incoraggianti e stabili da par­te dei mercati, rimarremo al di sotto dei livelli ottimali di produzione».

Mercoledì mattina, intanto, azien­da e organizzazioni sindacali hanno sottoscritto l’accordo necessario a completare il tetto delle cinquanta­due settimane di cassa integrazione ordinaria, aggiungendoci gli ultimi sette giorni. Partita il primo dicem­bre scorso, la cig era ferma a cinquan­tuno, in base ai pacchetti di tredici settimane di volta in volta concordati nel rispetto della normativa. La cassa straordinaria, invece, è una misura non frazionabile e abbraccerà l’intero 2010. Per questa ragione Ilva la chie­derà per tutto lo stabilimento, inclu­dendo nella richiesta anche quei re­parti, come il tubificio e il treno la­miere, finora esclusi dalle fermate la­vorative. Questa scelta non significa che ri­marranno a casa i dodicimila dipen­denti degli impianti di Taranto, ma l’azienda si premunisce non potendo spacchettare il periodo di cigs. Vedrà, a seconda dei ritmi produttivi e della domanda di mercato dei diversi setto­ri in cui colloca il prodotto, quali re­parti eventualmente fermare. La pro­gressione potrebbe non seguire l’an­damento della cassa ordinaria del 2008.

Quest’anno l’azienda ha dappri­ma messo a riposo 2146 dipendenti, poi il numero salì a 3544, da marzo diventarono 5146 per attestarsi a 6658. Da settembre calarono a 5138. Si tratta di quote massime, ma virtua­li. In realtà non sono mai state rag­giunte perché tra ferie arretrate e fer­mate parziali dei singoli impianti i la­voratori a zero ore sono sempre stati di meno. La produzione, dopo aver rag­giunto il livello minimo pari al tren­ta per cento della potenzialità com­plessiva, è ritornata a quota cin­quanta, non sufficiente per tranquil­lizzare gli addetti dell’appalto nè per riportare in fabbrica tutti i lavo­ratori. Nel frattempo l’azienda pro­cede con gli interventi legati alla ma­nutenzione e a rendere compatibili gli impianti con l’ambiente.

Cesare Bechis - Corriere