Ma il fiume di ipocrisia giunge al suo acme nelle dichiarazioni che si inseguono sulle televisioni italiane e che individuano nel crollo del controllo libico sui flussi di migrazione la responsabilità di questo esodo. Quel controllo che spesso significava, fino a qualche giorno, fa per migliaia di uomini e donne il respingimento nel deserto o il rimpatrio in nazioni dove il rischio era la morte o la violazione dei più basilari diritti umani.

Oggi però da più parti ci si spertica nel dire che quelli che arrivano a Lampedusa non sono rifugiati perché non libici, cercando di confondere l’opinione pubblica separando chi scappa dalla guerra e chi invece dalla fame e/o dalla sistematica violazione dei più elementari diritti.

E’ fondamentale quindi sapere.

Prima di analizzare la situazione di alcuni dei paesi di provenienza è doveroso fare alcuni cenni su quello che sta accadendo in questi giorni in Italia con particolare attenzione a quello che con fantasia viene definito il “campo di Manduria”

{affiliatetextads 1,,_plugin}Il governo italiano ha infatti stabilito che sulla strada Oria-Manduria venga approntata una tendopoli con la capienza di 720 posti, tendopoli che in breve intenderebbero trasformare in CIE. L’acronimo sta per Centro di Identificazione ed Espulsione uno di quei centri in pratica dove i migranti vengono stipati in attesa di essere identificati e poi rimpatriati. Uno di quei centri dove vanno a finire quelli che non hanno presentato richiesta di asilo. Già questo è il primo problema, quanti infatti dei disperati sbarcati sulle coste italiche sanno come fare a presentare domanda? A quanti è stato possibile farlo? Quanti invece sarebbero potenziali richiedenti asilo e invece finiscono nel calderone dei “clandestini”? La differenza non è cosa da poco. Mentre il “clandestino” finisce nei CIE che assumono l’aspetto di luoghi di detenzione (non dimentichiamo che in Italia la clandestinità è un reato), il richiedente asilo va nei CARA (Centri di Accoglienza per i Richiedenti Asilo) strutture aperte dove si rimane fino alla definizione della pratica, in condizioni quindi di preservazione della libertà personale.

L’intenzione del governo italiano sarebbe quindi quella di erigere a Manduria un CIE e lo fa scegliendo uno dei posti più tristi possibili, quello scelto è infatti un grandissimo sito pietroso e privo quasi completamente di vegetazione se si eccettuano arbusti dove, tra qualche settimana, le tende montate saranno invivibili per il caldo e gli spazi aperti non offriranno zone d’ombra, un posto quindi dove i disgraziati ospiti vivranno in condizioni proibitive, in 720 (se ovviamente non supereranno il limite) ad attendere l’improvviso rimpatrio. E’ questa l’accoglienza di cui parla il governo italiano? Perché invece non si è voluta raccogliere l’offerta di accoglienza (questa sì) del governo regionale pugliese di ospitare ben 2500 richiedenti asilo nei CARA presenti nella nostra regione? C’è un sapore di strumentale in tutto ciò. La puglia è da sempre terra d’accoglienza, senza andare troppo lontano basterebbe rivedere la grande disponibilità della gente pugliese nei momenti drammatici dei primi esodi albanesi. La gente pugliese vuole accogliere e non vuole segregare.

Non ci sono quindi nella nostra opposizione al “campo” di Manduria rigurgiti razzisti anzi! E’ proprio la nostra volontà di non separare l’azione dei governi dal rispetto dei Diritti Umani che ci spinge a dire no a questa disgraziata soluzione.

Bisogna stare molto attenti a non facilitare il compito di chi vuole popolazioni in rivolta eroiche finché rimangono in patria per poi trasformarle in orde di clandestini potenzialmente criminali appena giunte sul nostro territorio. Verso questa direzione puntano molte delle dichiarazioni che rimbalzano dalle TV italiane in questi giorni, proviamo a confutarne alcune.

Quelli che arrivano non sono libici che scappano dalla guerra ma eritrei, somali, etiopi

{affiliatetextads 2,,_plugin}Che senso ha questa affermazione? Gli eritrei, i somali, gli etiopi da cosa scappano? O forse qualcuno pensa che vengano in Italia rischiando la vita, pagando i risparmi di una vita, nell’incertezza di poter rivedere il loro paese e i loro cari così per diporto? Ecco basterebbe questo per cercare di dissipare il sospetto con cui si guarda a questa gente. Se poi si volesse andare a capire meglio basterebbe andare a vedere i rapporti delle principali Organizzazioni non governative per scovare conflitti interni  che vedono sistematiche uccisioni, violazioni di diritti umani fondamentali ed assenza di libertà di espressione, sono migliaia di persone che erano riuscite ad arrivare in Libia e che, se rinviate nei loro paesi di provenienza, rischiano la morte o l’imprigionamento.

La Tunisia, l’Egitto sono pacificati

Il 9 marzo, in piazza Tahrir al Cairo 18 donne sono state arrestate per aver pacificamente manifestato, sono state torturate, fotografate nude e costrette a fare “il test della verginità”, le non illibate incriminate come prostitute. Questo è solo un esempio che serve a farci chiedere quanti di noi non fuggirebbero da queste atrocità? La pacificazione è un processo lungo, che non si conclude con la deposizione di un regime, con un’elezione, il sistema abituato alle violazioni non si smonta in due settimane, è così complicato capirlo?

Quelli che arrivano sono giovani maschi

La maggior parte sono giovani maschi, è vero e quindi? Sarebbe forse una dimostrazione di pericolosità sociale? O invece non è un potenziale rivelatore della difficoltà delle donne anche a fuggire dalla guerra, dalla fame, dalla disperazione.

Se non arginiamo saremo invasi

Al fallimento della politica della chiusura, dei confini blindati, dei flussi controllati, dei respingimenti rivelatasi assolutamente fallimentare, rispondiamo con l’innalzamento delle barriere? O forse non sarebbe meglio prendere atto del fallimento e valutare soluzioni alternative? Possiamo illuderci di continuare a barricarci in una piccola parte di mondo che sfrutta e affama il resto dell’umanità o, in alternativa, cominciare a ridiscutere i contorni del fenomeno, avere un approccio più realista e soprattutto considerare che tanti alteri paesi oltre la Libia o la Tunisia stanno vivendo momenti che potrebbero preludere ad altri esodi. In questi giorni “La risposta delle autorità siriane al dissenso è stata rapida e brutale” come dichiara Philip Luther di Amnesty International, a Dera’a le forze di polizia aprono il fuoco contro i manifestanti, Human Rights Watch parla di decine di uccisioni e arresti indiscriminati. Nello Yemen la gente scende in strada per chiedere le dimissioni di Ali Abdullah Saleh, al potere da 32 anni e i cecchini uccidono i manifestanti, qualcosa di simile sta accadendo in Bahrein. Si può rispondere a tutto questo con i CIE? Con le espulsioni verso il paese di origine?

Bisogna, nell’immediatezza, rendere effettivo il diritto a richiedere lo status di rifugiato, garantire la possibilità di permanenza dignitosa nel rispetto degli standard umanitari, bisogna soprattutto programmare un nuovo modello di approccio al problema, aldilà dell’emergenza è improcrastinabile la creazione di un momento di studio di ipotesi alternative, in collaborazione con le Organizzazioni non governative da effettuarsi magari proprio in Puglia

Natty Patanè

Dipartimento Diritti Civili