L'uomo nero, la recensione
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Ernesto, capostazione per volontà del padre, sogna di diventare un pittore famoso e quando la signora Valeria Giordano (Anna Falchi), ricca e trascurata moglie del dentista del paese, lo esorta a fare una mostra con le sue opere migliori, si getta a capofitto nell’impresa, riponendoci tutte le sue speranze. Il pezzo forte della mostra è un omaggio a Paul Cézanne, il cui autoritratto è in mostra a Bari. Ma la critica miope, prevenuta e crudele di un professore del posto (Vito Signorile) e del suo amico avvocato (Maurizio Micheli) distruggerà i sogni di gloria di Ernesto. Questa è la trama de L’uomo nero, ultimo film di Sergio Rubini, dal 4 dicembre in tutte le sale.
Ancora una volta Rubini torna alle sue amate radici pugliesi, girando il film tra la provincia di Brindisi e quella di Bari.
E proprio la provincia meridionale è il vero cuore del film, una provincia chiusa e soffocante, incapace di riconoscere e valorizzare il talento e fossilizzata nella divisione in classi sociali, per cui un professore qualunque diventa un’autorità da cui pende l’intero paese e un capostazione non può essere un bravo pittore, ma deve stare al suo posto. Bellissime la fotografia che esalta i colori caldi della Puglia e la colonna sonora di Nicola Piovani. Ottimo il cast, da Gifuni a Margherita Buy, qui in una breve apparizione, da Maurizio Micheli ad una convincente Anna Falchi.
{affiliatetextads 1,,_plugin}I tre protagonisti danno una grande prova di sé: Valeria Golino è perfetta nei panni di questa moglie insicura e un po’ gelosa, che sa stare sempre accanto al marito e lo difende con tutta se stessa, Riccardo Scamarcio dà vita ad uno strepitoso zio Pinuccio, divertendo e risultando convincente anche da anziano. Ma il migliore in campo è senza dubbio Sergio Rubini: il suo Ernesto, sognatore distratto e romantico, ha un’umanità e uno spessore che trapelano dallo sguardo e conquistano. La sceneggiatura è perfetta: a metà tra commedia e tragedia, tra sogno e realtà, tra cielo e terra, la storia scorre leggera e dolente, senza mai una caduta di tono o di ritmo, senza stancare o annoiare, con citazioni felliniane e spunti originali.
Niente è quello che sembra, ogni cosa è destinata ad una verità ben diversa da quanto appare a prima vista: l’uomo nero non è un mostro che fa paura ai bambini, lo spensierato e gaudente zio Pinuccio deve affrontare una vita familiare che non avrebbe voluto, e soprattutto Ernesto si rivela al Gabriele adulto molto diverso da quello che il figlio ha sempre creduto.
Proprio colui che sembra sconfitto dal provincialismo e dalla sua crudeltà, che rinuncia ai suoi sogni e si piega al suo destino di capostazione, si rivela un vincente, beffando tutti, senza che nessuno se ne accorga, perché “i ragazzini si vantano, gli uomini no”, dando una splendida lezione di vita in un finale originale e bellissimo, degna conclusione di un film poetico e delicato, uno dei migliori della stagione cinematografica.
Annarita Vitrugno - http://www.directorscup.it