«”San Luca” è una preghiera laica, universale, che parte da Bologna per arrivare a tutti, in qualunque parte d’Italia».

Lo ha esternato Cesare Cremonini sulla canzone “San Luca” che è già un classico, nel quale abbraccia la voce leggendaria di Luca Carboni, una delle 12 del nuovo album “Alaska baby”.

Si parla di rinascita e redenzione, di terra e di cielo, con in mezzo una grande pianura, che fa paura e ci attrae come un oceano in cui annegano le speranze e i sogni dei ragazzi. 

«Sono migliaia infatti le “Madonne di San Luca” del nostro Paese, dove ognuno ha la sua collina, il suo santuario o soltanto il luogo del cuore dove andare a rifugiarsi e camminare per ritrovare se stesso – ha confidato – Tra me e Luca oggi non si può parlare di una semplice collaborazione artistica ma di una amicizia profonda e silenziosa che ora, grazie a questa canzone, si è fatta così profonda da farsi musica. Anche per questo sono felice di annunciare che Luca sarà con me su alcuni tra i palchi più importanti del tour negli stadi del 2025, per cantarla insieme».

Le date del Cremonini Live 25 sono l’8 giugno Lignano, 15 e 16 Milano, 19 e 20 Bologna, 24 Napoli, 28 Messina, 3 e 4 luglio Bari, 8 Padova, 12 Torino, 17 e 18 Roma.

Un successo straordinario quello di “Alaska baby” che ha esordito al primo posto in classifica degli album più venduti e contemporaneamente il brano “Ora che non ho più te” è al primo posto dei singoli, oltre ad essere il brano più trasmesso dalle radio per due mesi consecutivi; un fatto del tutto eccezionale per un artista nato in epoca pre streaming, che lo posiziona ancora una volta tra gli artisti più importanti e influenti del suo tempo. 

«L'album è nato dall'esigenza e dalla sensazione che a volte nella vita, ma soprattutto in una carriera lunga come la mia, devi saper lasciare la presa e metterti in pericolo – ha osservato – Non che non l'abbia fatto in passato, ma questa volta era un po' come quando sei attaccato a una fune che sai che ti farà cadere in acqua anche se non sai nuotare».

“Alaska baby” è l’ottavo album in studio della carriera solista di Cesare Cremonini, un album luminoso, accecante, artisticamente ispirato, che ribadisce la sua volontà di alzare ancora una volta l’asticella del pop italiano e confermare la solidità del suo percorso; un disco che, già dal titolo, si preannuncia un vero e proprio viaggio esplorativo nella musica, per andare oltre i propri confini e creare nuove opere senza tempo, un disco sull'amore ma anche sulla speranza.

«Credo che oggi dovremmo tornare alle certezze, come la sensibilità – ha confessato – Viviamo in un tempo che esprime e ostenta fragilità continuamente e continuiamo a giudicarle e a raccontarle, ma occorre fare un passo in più: capire quale verità c'è lì dentro: è una riflessione che ci porta inevitabilmente a fare i conti con noi stessi».

Le canzoni di questo disco compongono le tappe di un lungo viaggio, da Bologna all’Alaska, attraverso l’America, grazie al quale è nato un progetto vitale e esplosivo, come un disco d’esordio.

«Siccome la musica è la guida delle mie esperienze umane, mi sono lasciato andare, e questo mi ha permesso di mettermi in discussione come essere umano, come uomo, come persona e come artista – ha sottolineato – È stato un processo molto importante, faticoso e doloroso, che ha coinvolto tutta la mia vita emotiva e poi è diventato un album che ha l'energia e l'esplosività di un disco d'esordio: la parola giusta è, quindi, coraggio».

Fin dalla sua title track, che apre il disco con una intro strumentale di fiati e timpani degna di un kolossal, l’album si presenta in un caleidoscopio di suoni e generi musicali diversi che si mischiano tra loro in modo divertito, sempre alla ricerca di un nuovo orizzonte, un nuovo confine da raggiungere, mai sazio di incontrare nuove strade per incitare l’ascoltatore al grande gioco della musica.

«Credo che ognuno interpreti il ruolo che più preferisce nella vita – ha ammesso – Non riesco a definirmi attraverso un ruolo, per il quale provo comunque una certa allergia: sono una persona che, appena sente un ruolo, lo decostruisce e lo costruisce. Vengo da una famiglia borghese di Bologna che aveva una buonissima educazione e una buonissima capacità di dialogo e di dialettica: è un'arma che ho avuto in più nella vita. Posso essere attrattivo o molto pericoloso: vorrei solamente dedicare la mia vita alla musica in pace».

“Alaska baby” è reminiscenze brit pop, canzoni d’autore, Beatles e Beach Boys nei cori straripanti e armonizzati, strofe influenzate dai groove ipnotici di Beck, chitarre “a la George Harrison” nei ritornelli, citazioni rap che vanno da Johnny Cash a Donald Trump, gli anni settanta italiani che diventano barocchi e straripanti di emotività.

«Sono un comunicatore di natura, ma anche io so nascondermi e so proteggermi – ha riflettuto – Mi ero accorto che stavo vivendo una fase di stallo della mia vita privata che non mi permetteva di fare quel passo che uno come me può non fare e non può permettersi di fermarsi. Mi sono, quindi, trovato nella condizione di, o lanciarmi o morire artisticamente, e ho preferito lanciarmi».

Durante questo viaggio Cesare ha incontrato artisti straordinari, come Mike Garson (già collaboratore di David Bowie) con cui duetta in “Dark room”, “Ragazze Facili” e “Acrobati”, Elisa in “Aurore boreali” e “Il mio cuore è già tuo”, in cui sperimenta nuove sonorità dal carattere deep house insieme ai Meduza.