Nel 2001 il Presidente di centrosinistra del Molise fu dichiarato decaduto dai giudici per un problema nella raccolta delle firme
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LA REGIONE «A ROVESCIO» / Dopo la decisione del Tar di annullare le elezioni del 2000 e di mandare a casa la giunta di centrosinistra DAL NOSTRO INVIATO «Una sentenza politica!», urla la sinistra. «Giù le mani dai giudici!», strilla la destra. In Molise hanno fatto l' abitudine al mondo capovolto. Qui il Cavaliere implacabile nemico dei «ribaltoni» fece il suo primo «ribaltone» da destra, qui le giunte regionali si sono spostate di qua e di là per 5 volte in 5 anni, qui alle elezioni del 2000 si presentarono con la sinistra 3 candidati già eletti con la destra e con la destra 7 già eletti con la sinistra, segnando insieme (coprivano un terzo del consiglio regionale) il trionfo dei voltagabbana. Mancava, dopo tanti scontri sulle «toghe rosse» piegate ai voleri «comunisti», una rissa sulle «toghe azzurre» piegate a quelli del Polo. Ma il vuoto, finalmente, è stato colmato. Al centro della bufera, che potrebbe fare da battistrada a una litania da incubo di ricorsi e controricorsi in tutta Italia, c' è un verdetto del Tar di Campobasso senza precedenti: l' annullamento, per vizi formali nella presentazione di 4 liste uliviste, delle ultime consultazioni regionali. E quindi l' immediata decadenza del diessino Giovanni Di Stasi e della sua giunta di centrosinistra. Una sentenza che, escludendo pure la normale amministrazione (quelli di Forza Italia sono arrivati a diffidare gli avversari: guai se prendete una sola decisione) ha scaraventato per la prima volta una Regione in un baratro istituzionale di cui non si vede il fondo. Nessuno può mettere una firma, nessuno può sbloccare un finanziamento, nessuno può richiedere i fondi Ue, approvare il bilancio, rinnovare i lavori socialmente utili. «Torniamo al voto immediatamente», dice la destra. «Ci mancherebbe: deciderà il Consiglio di Stato», risponde la sinistra che ha presentato una serie di ricorsi. Giorni, settimane, forse mesi d' attesa. E intanto? «Venga un commissario, come succede nei comuni in base alla legge del 1968 istitutiva delle Regioni», chiede Michele «Ex» Iorio, un dc di lungo corso chiamato così dai nemici per la circumnavigazione compiuta negli ultimi anni gettando l' ancora in vari porti e porticcioli delle due sponde prima di approdare come candidato presidente a Forza Italia. «No, per la gestione ordinaria resto in carica io», ribatte Di Stasi. «Ma se legalmente non è mai stato eletto!», sbuffa Iorio. «Casomai riconvochiamo il vecchio consiglio decaduto l' anno scorso». Un pollaio. Ma afono. Se litigassero galli e galletti della Lombardia o del Lazio (dove tra l' altro un non eletto diessino ha subito presentato contro l' elezione di Storace un ricorso identico a quello del Polo molisano per 300 firme doppie nella presentazione delle liste denunciate dal giudice Guido Cerasoli) la bomba istituzionale sarebbe esplosa dentro il dibattito politico. Qui no: per quanto strillino, i galli e i galletti molisani non se li fila nessuno. Un errore. Non solo per il rispetto che meritano 330 mila persone. Ma anche perché tra questi monti sta succedendo qualcosa che domani potrebbe ripetersi a cascata. Paralizzando la vita politica italiana. Tema: la raccolta di firme per la presentazione delle liste. Una questione rognosa. Da sempre al centro di accuse e contro-accuse, ultime fra tutte quelle fatte da Emma Bonino prima del voto del 16 aprile 2000. Bando alle ipocrisie: che la raccolta di firme avvenga spesso attraverso scorciatoie lo sanno tutti. Che più o meno tutti ci provino e che le commissioni di verifica siano tradizionalmente portate a «interpretare» la legge volta per volta, luogo per luogo, partito per partito, pure. Basti citare l' obiezione dei comunisti italiani alla bocciatura della loro lista, decisa perché la carta con cui Cossutta dichiarava che il suo rappresentante locale era il segretario Nicola Macoretta non comprendeva anche la delega espressa a presentare la lista: «È una carta presentata in fotocopia in tutta Italia e in tutta Italia accettata». Replica del Tar molisano: hanno sbagliato ad accettarla gli altri. Le liste uliviste ammesse alle elezioni dai giudici della commissione elettorale e bocciate solo un anno dopo sono 4: quella dei comunisti di cui s' è detto, quella dello Sdi che ha tolto 3 candidati dei 17 annunciati («Una sciocchezza», dice Di Stasi. «No, è come se io mi vantassi di avere dalla mia il Papa senza averlo avvertito della candidatura», replica Iorio), quelle dell' Udeur e dei Verdi. Accusate d' aver barato allegando firme non autenticate. Falso, giura Nunzio Luciano, l' avvocato che difende i Verdi dopo aver mollato Forza Italia di cui era coordinatore per la scelta di «un politicante stravecchio come Iorio».
{affiliatetextads 1,,_plugin}E, sentenza alla mano, mostra alcune firme bocciate: Anteloro Luigi Amoruso si chiama solo Anteloro Amoruso, Zita Angiolina all' anagrafe è Angelina, Zingaro Ilaria è registrata come Ilaria Ida, Mallarde Nicola è sì nato a Bari il 7-8-56 ma sarebbe Mallardi con la «i». «Pignolerie formalmente corrette, ma che farebbero invalidare tutte le elezioni della storia». Il fatto è, dicono le sinistre, che il Tar del Molise è alla terza sentenza fotocopia. E anche le altre volte, mandando a spasso il comune di Isernia e poi quello di Macchia, ha fatto fuori due giunte uliviste. Con due sentenze poi bocciate dal Consiglio di Stato: elezioni regolari. Da qui all' accusa di «sentenze politiche» il passo è stato breve. Come istantanea è stata, per bocca del forzista Ulisse Di Giacomo, la risposta polista: «Si tratta di un tentativo maldestro di delegittimare la giustizia o peggio di intimidire i giudici». Facciamo una scommessa? Fosse successo il contrario si sarebbero scambiati le parti. Dicendo esattamente le stesse parole. Gian Antonio Stella IL CASO MOLISE ELEZIONI ANNULLATE Il Tar ha annullato l' elezione del presidente della giunta del Molise, il ds Giovanni Di Stasi, e dell' intero consiglio, ritenendo «illegittima l' ammissione di alcune liste del centrosinistra»