L’intrinseca illogicità di un decreto in contrasto col principio di uguaglianza
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Per il caso della Lombardia, lo stesso provvedimento stabilisce che il predetto art. 9 «si interpreta nel senso che le firme si considerano valide anche se l’autenticazione delle medesime» risulta priva di alcuni elementi prescritti «purchè tali dati siano desumibili in modo non equivoco da altri elementi presenti nella documentazione prodotta». Precisa poi che la regolarità dell’autenticazione «non è comunque inficiata dalla presenza di una irregolarità meramente formale quale la mancanza o non leggibilità del timbro dell’autorità autenticante, dell’indicazione del luogo di autenticazione nonché dell’indicazione della qualifica dell’autorità autenticante».
Quanto al primo caso, il decreto impone di considerare avvenuta nel termine prescritto una presentazione della lista che in effetti non c’è stata e lo fa introducendo un precetto in forza del quale il rispetto dei termini si deve considerare assolto quando certi non meglio precisati «incaricati» (chissà come identificabili) abbiano fatto ingresso nei locali del Tribunale (locali anche diversi da quello adibito al servizio elettorale?) muniti della prescritta documentazione. Non si capisce invero chi e come possa verificare l’avvenuto ingresso degli incaricati e come sia possibile accertare che costoro siano muniti della necessaria documentazione. Mentre emerge con chiarezza, siccome tale presenza può essere provata con qualsiasi mezzo, che per confermare la regolarità di tale operazione bastano le attestazioni provenienti dalla parte interessata di fatto sottratte ad ogni controllo. Per quanto attiene al secondo caso, quello della Lombardia, basta rilevare che in forza del decreto si devono considerare valide le firme anche se la loro autenticazione non risulta corredata di tutti gli elementi prescritti se questi sono desumibili (chissà come) da altri dati contenuti nei documenti presentati con la precisazione che la regolarità dell’autenticazione medesima non è inficiata dalla mancanza del timbro dell’autorità competente, delle indicazioni del luogo e della indicazione della qualifica dell’autorità autenticante. Come dire in pratica che dell’autenticazione si può fare tranquillamente a meno.
{affiliatetextads 1,,_plugin}Siamo quindi di fronte non a norme interpretative ma a disposizioni chiaramente innovative e peraltro in aperto contrasto con la legge n. 400 del 1988 che fa divieto di intervenire con la decretazione di urgenza in materia elettorale. Un decreto quindi vistosamente segnato da inammissibili interessi di parte e viziato da illegittimità costituzionale per la violazione del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 dello Statuto anche sotto il profilo, costantemente valorizzato dalla giurisprudenza della Consulta, dell’intrinseca illogicità e della manifesta irragionevolezza delle norme in esso contenute che comportano una indubbia disparità di trattamento di comportamenti e diritti che meriterebbero identica disciplina.
Il Presidente Napolitano merita rispetto. Egli, come risulta dalla lettera con la quale ha spiegato i motivi della sua firma, ha significativamente definito «teso» l’incontro con la delegazione del Governo: un aggettivo che, tenuto conto dello stile sobrio e prudente del linguaggio del Capo dello Stato, la dice lunga sull’atteggiamento assunto da tale delegazione. Per evitare il peggio il Presidente Napolitano ha sottoscritto il decreto considerando tale soluzione, come ha detto il Presidente Fini, un male minore. La firma di Napolitano, atto sofferto e lungimirante, lascia, per come sono andate le cose e per il chiaro disposto dell’art. 77 della Costituzione, sulle spalle del Governo tutta la responsabilità di quanto è accaduto e di quanto può ancora accadere a seguito delle procedure giudiziarie in corso o di prevista apertura. E nel contempo quella firma mette i cittadini di fronte alle responsabilità che sono chiamati ad esercitare in tutte le forme nelle quali si può esprimere, in un momento così delicato e difficile, la loro partecipazione democratica.
Brindisi, 08 marzo 2010
Michele DI SCHIENA