Regione Salento: Salvemini dice no alla secessione referendaria
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Più utile, credo, provare ad affrontare il tema partendo dall’ultimo intervento di Paolo Pagliaro, presidente del comitato promotore, per argomentare cosa del suo lungo e articolato intervento non mi convince. Una premessa doverosa: sottoscrivo in pieno l’invito da lui rivolto a mettere da parte pregiudizi, dietrologie, retropensieri per concentrarci sul merito e metodo della proposta. Non si può ignorare, tuttavia, il suo essere contestualmente portavoce del comitato promotore e presidente di uno dei principali gruppi radiotelevisivi del Salento . Circostanza che introduce nel dibattito in corso un elemento di impar condicio per l’oggettivo traino massmediale di cui ci si avvale per sostenere la propria legittima battaglia. Scaturisce probabilmente da questo intreccio di ruoli la convinzione che la proposta di una nuova Regione si sia affermata non per volontà di singoli ma perché spinta da sollecitazioni popolari, confondendo a mio avviso quel che si muove realmente nella testa e nella pancia di una comunità con quel che si decide quotidianamente di raccontare e mettere in rilievo attraverso gli schermi tv. Mai infatti, pur avendo, per passione politica e militanza, la testa dentro i problemi e le urgenze della nostra provincia, m’è capitato di avvertire questo insofferenza per la dimensione regionale e con essa l’affermarsi di un sentimento popolare secessionista. Ma ciascuno, evidentemente, è testimone del proprio piccolo giardino.
{affiliatetextads 1,,_plugin}Per entrare più nel merito degli argomenti proposti da Pagliaro aggiungo brevemente queste considerazioni.
1. La proposta è contestata in sé non perché si mette in discussione il rispetto della Costituzione, l’unità nazionale, o Roma Capitale. Ma perché asseconda, forse inconsapevolmente, quello spirito leghista della piccole patrie che soprattutto al Sud abbiamo subito. Si preferisce ignorare che se analogamente a quello che sta avvenendo qui da noi ci si adoperasse, con riferimenti storici e sollecitazioni emotive non meno fondate, anche altrove per l’affermazioni di nuove istanze autonomiste, l’anno prossimo avremmo molti problemi a festeggiare il 150° anno della unità d’Italia. Assisteremmo, infatti, ad una prevedibile escalation di richieste di nuove regioni, così come è avvenuto negli ultimi dieci anni con le province. Da parte di comunità e territori che per peso economico avrebbero molte più risorse e argomenti da proporre e far valere. Ecco dove s’insidia il rischio secessionista: nell’introduzione, incauta, di suggestioni disgregatici dell’assetto vigente .
2. Proporre una secessione referendaria partendo dall’esclusione della nostra provincia dall’alta velocità, o dall’insufficienza della rete stradale tra Lecce e Taranto, o ancora dalla penalizzazione nell’assegnazione delle risorse comunitarie, piega gli eventi agli interessi contingenti e prescinde da ogni lettura di sistema. Ancor peggio quando tutto il ragionamento parte delle premesse di un presunto “baricentrismo” dell’attuale Giunta. Anche a voler considerare Vendola il peggiore dei Governatori possibili per gli interessi del Salento, si può immaginare di mettere in discussione quarant’anni di storia a causa di sei anni di malgoverno? Come non vedere che l’insufficienza del sistema ferroviario è una tara del sud italia? Che prendere il treno è un’avventura da Napoli in giù? Come sostenere che è colpa dei baresi se a Cerano si usa ancora carbone, se i fumi dell’ILVA avvelenano ancora i tarantini, se non siamo riusciti a realizzare l’interporto, se tardiamo a realizzare la 275, se il nostro sistema dei rifiuti è ancora in emergenza, se quindici anni di uso di risorse comunitarie non ha contribuito ad innalzare in modo decisivo la qualità della vita nelle nostre province? Individuare altrove le ragioni dei nostri ritardi o problemi irrisolti è una fuga dalle responsabilità che non aiuta le classi dirigenti a fare i conti con i propri limiti ed errori.
3. Sono einaudiamente convinto che occorre “conoscere per deliberare”. Dopo mesi di dibattito ancora non è chiaro, perché volutamente non documentato, quale sia stato nel corso di questi trent’anni il danno subito dai salentini con l’istituzione della Regione Puglia. Non parlo di evocazioni, ma di numeri, indici, percentuali, tabelle. Non mi riferisco ad asserzioni ma a rigorosi e oggettivi indicatori economici e sociali. Quando si propone una modifica dell’assetto istituzionale di un territorio e si vuole respingere l’accostamento ad un leghismo del Sud bisogna avvertire il dovere di uno studio supplementare. Insomma, se si vuole mettere mano all’art. 132 della Costituzione, proprio per il rispetto che si deve alla nostra Magna Charta, ci vuole qualcosa di più dello slogan (sotteso alla proposta) “a noi salentini ci ha rovinato la Puglia altrimenti saremmo la California d’Italia!” E se invece fosse vero il contrario? Che cioè ci è convenuto fino ad oggi essere parte di una Regione più grande e ancor più lo sarà in futuro, quando l’introduzione del federalismo e il venire meno del paracadute finanziario rappresentato dalla risorse comunitarie finirà per indebolire i territori economicamente più deboli (e tale sarebbe inevitabilmente un Salento privo di Bari e della Capitanata)?
4. Infine, in chiusura del suo intervento Pagliaro introduce un elemento, a mio giudizio, censurabile. Si sostiene infatti che “chi non vuole il referendum è antidemocratico e vuole attuare la vera secessione, quella fra i potenti e i semplici cittadini”. Attenzione: non si può pretendere che le assemblee elettive si consegnino ad una funzione meramente notarile delle decisione del comitato promotore REGIONE SALENTO, in quanto ciò determinerebbe lo stravolgimento della ratio dell’iter costituzionale previsto. Se l’art. 132 stabilisce che per giungere alla consultazione popolare è necessario il pronunciamento in tale senso dei consigli comunali che rappresentano un terzo delle popolazioni interessate, è perché si attribuisce alle assemblee elettive un primo fondamentale momento di confronto sulla fondatezza e sul merito dell’oggetto della discussione. Immaginare invece che si debba, senza discussione alcuna, licenziare la mozione per rimettersi alla voce del popolo sovrano rappresenta una distorsione interessata dell’art. 132. Penso invece che sia doveroso entrare nel merito della proposta sin dal dibattito d’aula dove non siedono potenti, ma cittadini liberamente eletti e come tali a pieno titolo rappresentanti della volontà popolare.
Queste le mie obiezioni, certamente non originali, alla proposta di una nuova Regione Salento. Alle quali accompagno, in chiusura, una proposta. Oramai il dibattito sull’argomento è uscito da una dimensione meramente mediatica e accademica per divenire tema di confronto politico e istituzionale. Per questo motivo, e in previsione dei suggestivi passaggi previsti dall’iter, consigli comunali prima e consultazione referendaria (eventuale) poi, considero importante che quanti avversano l’idea di una secessione dalla Puglia si organizzino per andare oltre la mera testimonianza. E’ giunto il momento, anche in considerazione della succitata sproporzione di mezzi in campo, di costituire un comitato a difesa della Puglia Unita. Un associazione spontanea di cittadini convinti che lo sviluppo del Salento può avvenire solo all’interno di una coesione territoriale e non per anacronistici autonomismi, e capace di proporre ai salentini un altro modo di raccontare la Puglia”.
http://lanostrawebtv.wordpress.com/2010/09/08/regione-salento-salvemini-dice-no-alla-secessione-referendaria/