Emiliano mi sfidi alle primarie, intervista a Nichi Vendola
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Presidente Nichi Vendola, Emiliano si candida senza se e senza ma.
“Immagino che questa sua disponibilità debba essere discussa dal Pd e che questo possa consentire di chiudere il cerchio investendo su un fatto nuovo, che è la contesa nelle primarie tra me Emiliano”.
Lei insiste sulle primarie, ma il Pd le ha escluse…
{affiliatetextads 1,,_plugin}“Penso che sia a portata di mano la soluzione ad una situazione così arzigogolata e quasi priva di ragionevolezza. C’è finalmente una disponibilità che è stata troppo a lungo covata e troppo a lungo trattenuta e che ora finalmente emerge, come quella materia incandescente che era nascosta sotto i nostri piedi: ora che è chiara la volontà e l’ambizione del sindaco di Bari, data anche la popolarità di cui gode, credo che non dovrebbe esserci alcun problema nell’immaginare di poterci confrontare nelle primarie”.
Il rischio di una rottura nel centrosinistra - e di una vittoria del Pdl alle regionali - c’è tutto. O no?
“Le posizioni che mettono al sicuro la prospettiva politica sono frutto di un esercizio di tolleranza e pazienza. Io ne ho avuta e quindi si può concludere questo percorso così confuso, caotico e anche avvelenato in una limpida contesa, che può rafforzare e non indebolire l’alleanza. C’è un candidato in pista e sono io, spero che si voglia giocare o che resti un solo candidato in pista. Non credo che al Pd convenga assumersi la responsabilità di due candidati e di una grande lacerazione nel centrosinistra”.
Veramente è il Pd che accusa lei di provocare lo strappo.
“Va bene, taccio per carità di patria”.
Addio alla primavera pugliese, alle rivoluzioni del 2004 e 2005: si torna alla Puglia di Tatarella e Fitto. Cosa è accaduto?
“Credo sia ancora prematuro il tempo dei perché. Siamo nell’immediatezza delle vicende che hanno scatenato anche forti passioni e io ho potuto osservare quel cuore di tenebra che fa del potere una macchina tritura-persone. La difficoltà di oggi, di questo tempo storico, è che sono saltate le regole della lotta politica. Vivo uno spaesamento, è come costruire la comunicazione e trovarsi in un mondo privo di grammatica e sintassi. Devo far lavorare quella parte di me che guarda con distacco a ciò che accade e che mi dice di non perdere mai né la bussola né l’orizzonte”.
La sua bussola le dice di andare avanti, quella del Pd dice che senza l’Udc si perde. Come metterla?
“Per vincere serve un progetto di cambiamento, serve la buona politica. Non si costruisce nulla di buono quando si immagina il campo della politica come l’espressione di ristrette cerchie di eletti, adusi magari a trafficare, tradirsi, ingannarsi tra di loro. Il mio “tavolo politico” è quello in cui si impasta la farina dei bisogni sociali con l’acqua delle grandi culture riformatrici. Altrimenti non capisco che significa fare politica, che significa vincere o andare al governo”.
Torniamo alla “primavera”. Quella del 2010, con la probabile “election day” a Bari e nella Regione, come la vede?
“Temo possa determinarsi una reazione a catena, una processione di strappi che cambiano di colpo la scena. La primavera è stata l’accumulo di esperienze, energie, speranze, ma ora, per vincere, il centrosinistra piuttosto che allargare vuole amputare il proprio principale riferimento di questi 5 anni. Tutto ciò che si è catalizzato attorno alla mia persona deve sparire: un cambio di stagione vero, non più una primavera ma un inverno in cui vengo convocato a svolgere il ruolo di capro espiatorio. Siamo davvero al paganesimo della politica”.
E lei non si ritirerà in “religioso” silenzio, vero?
“La vicenda pugliese è stato un laboratorio nazionale, in forme clamorose nel 2005 con la mia doppia vittoria nelle primarie e contro Fitto. Da allora questa regione è stata un esempio di controtendenza nel Sud. Chiedermi di rinunciare a correre per le regionali significa cancellare un’anomalia. Questo fatto non può non avere conseguenze”.