Il discorso di Nichi Vendola per l'inaugurazione della Fiera del Levante
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E in questa deriva è accaduto che si smarrisse la nozione del Sud, della sua storia, della sua complessità, del suo respiro italiano, della sua culla mediterranea, della sua antica dimensione europea, della sua permanente vocazione cosmopolita. Una sorta di maledizione lombrosiana ha colpito la nostra terra, risucchiandola nel cono d’ombra dei pregiudizi, degli stereotipi, delle cattive generalizzazioni. E il Sud è stato troppo a lungo silente, ostaggio della demagogia nordista, raccontato come fenomenologia del parassitismo e delle mafie, percepito come un vuoto a perdere o come una palla al piede. Noi fortunatamente non abbiamo reagito replicando contro il Nord lo stesso copione, non siamo diventati “sudisti”, anche perché quel Settentrione lo amiamo, lo abbiamo costruito un po’ anche noi con la fatica dei nostri emigranti, ne subiamo il fascino, lo viviamo come l’altra parte di noi stessi. E quando lassù arrestano un direttore di Asl per ‘ndrangheta o scambiano una sacca di sangue uccidendo un paziente, noi non diamo giudizi tuonanti e general-generici, non buttiamo tutto e tutti nella discarica dei pregiudizi, non diciamo che il Nord è l’inferno.
{affiliatetextads 1,,_plugin}Vorremmo avere anche noi il diritto di essere criticati quando sbagliamo, ma incoraggiati quando abbiamo talento, quando inventiamo frammenti di mondo nuovo, quando costruiamo pagine di bellezza e di legalità, così come ha fatto quel piccolo grande italiano del Cilento, Angelo Vassallo, che con la sua vita e con la sua morte per mano della camorra ha incarnato un Sud pulito e con la schiena dritta. Noi qui in Puglia, lavorando in sintonia con il Ministero dell’Interno e quello della Giustizia ma anche con la Magistratura e con Libera e i ragazzi di Don Ciotti, abbiamo aperto il sentiero per un cammino d’avanguardia nella costruzione di quell’Antimafia civica e sociale che è lo strumento indispensabile per la bonifica dei territori occupati dai clan. Ne è buon testimone il sottosegretario Sen. Mantovano. Noi qui in Puglia, lavorando in sintonia con gli organi centrali, abbiamo messo in piedi un sistema moderno ed efficiente di Protezione Civile, con una cabina di regia tecnologicamente sofisticata e un modello evoluto di relazioni tra corpi dello Stato e volontariato: costruendolo letteralmente dal nulla, e liberandoci dall’incubo di essere testimoni impotenti delle fiamme che devastano i nostri boschi. Ne è buon testimone il Sottosegretario Bertolaso. Noi qui in Puglia, dinanzi ai tagli pesantissimi che venivano inflitti all’Università e alla scuola, abbiamo reagito non solo con le contestazioni, ma aiutando concretamente gli atenei, riformando in radice quegli enti pletorici e di spreco che gestivano il diritto allo studio e implementando i finanziamenti per le borse di studio. Con i “bollenti spiriti” abbiamo offerto una opportunità di altissima formazione ai migliori talenti giovanili. E infine abbiamo messo in campo il progetto di “diritti a scuola” con cui abbiamo fatto lavorare duemila insegnanti e amministrativi precari, trasformandoli in un esercito capace di fare la guerra alla dispersione scolastica, perché il diritto all’apprendimento per un bimbo o un ragazzino che vive in condizioni di disagio noi lo percepiamo come la pietra angolare della nostra civiltà: e questo progetto è stato valutato positivamente dagli ispettori del Ministero dell’Istruzione ed è stato replicato in altre regioni. Abbiamo salvato, insieme, adulti precari e bimbi precari. Ne è buona testimone la Ministra Gelmini. Noi qui in Puglia abbiamo deciso di rompere la storica contrapposizione tra diritto al lavoro e diritto alla salute, tra esigenze della produzione ed esigenze dell’ambiente, e abbiamo prodotto “fatti” che rappresentano una cesura storica nella vita regionale: stiamo concludendo con risultati straordinari i lavori di bonifica del sito inquinato d’interesse nazionale di Manfredonia, abbiamo allestito quindici nuovi parchi che hanno inglobato una visione dinamica e non museale del parco, abbiamo rivoluzionato modelli urbanistici segnati da una sorta di illuminismo centralistico e abbiamo messo su insieme al sistema d’impresa un gigantesco cantiere di riqualificazione delle periferie che coinvolge la metà dei Comuni pugliesi (per investimenti complessivi di due miliardi di euro), abbiamo voluto una legge regionale che portasse le emissioni di diossina alle soglie più basse d’Europa, avendo noi orecchie per sentire l’urlo di dolore di una città come Taranto. E per avere la forza di opporci con buone ragioni all’avventura del nucleare ma anche del rigassificatore a Brindisi abbiamo scelto, come opzione strategica, le energie rinnovabili. Non siamo stati la Regione dei no. Abbiamo detto si all’eolico e al solare, diventando in questi segmenti di “green economy” i primi produttori nazionali: e il prossimo 10 dicembre la Puglia, insieme alla città di Monaco, riceverà il “premio solare europeo 2010″ per il suo esempio positivo – così è scritto nella motivazione dell’encomio – a livello continentale. E oggi intendiamo spostare l’orizzonte energetico sulla solarizzazione strutturale delle città, con pannelli fotovoltaici che possono coprire edifici pubblici, serre, capannoni industriali; ma anche sull’efficientamento energetico delle costruzioni e sulla sfida della mobilità sostenibile. Abbiamo pensato e progettato, qui dalla Puglia e dalla Campania, quel treno ad alta capacità che può cambiare la geografia dei traffici merceologici in Italia, superando la barriera tra Adriatico e Tirreno, liberando le strade e le autostrade dai Tir che ancora oggi trasportano il grosso delle merci e prospettando quella trama di connessioni tra porti, aeroporti, ferrovie che disegna la mobilità del futuro. Qui certo, come in ogni porzione d’Italia, abbiamo pagato il nostro tributo ad una “questione morale” che è anche figlia di una politica ridotta a mercato elettorale e di una pubblica amministrazione piegata a ruoli servili nei confronti dei sistemi di potere.
Forse occorre mettersi a cercare il bandolo della matassa in quel “senso del dovere” e in quello “spirito di servizio” di cui parlava, con quella sua austerità così colta e melanconica, il nostro Aldo Moro. L’affarismo l’abbiamo visto stratificato in ogni piega della vita pubblica, dal governo delle case popolari all’amministrazione parcellizzata e spesso insabbiata della spesa sanitaria: anche qui, se la polemica fosse messa in un angolo dal bisogno di analizzare, andare in profondità, cogliere con diagnosi puntuali il male, forse potremmo incidere con la precisione del chirurgo quella cancrena che si riproduce nelle gare, nelle capziose prescrizioni dei capitolati d’appalto, nei bilanci lungamente truccati, nella inappropriatezza dei ricoveri o della diagnostica. Noi abbiamo cominciato, già dal tema cruciale della formazione e della selezione del management sanitario, una vera rivoluzione copernicana: ne è buon testimone il Ministro Fazio. Ma è una strada lunga, e non certo agevolata dal razionamento delle risorse che ci viene imposto da un Piano di rientro che non è frutto del deficit sanitario (infatti la Puglia è l’unica grande regione del centro-sud non “commissariata”) ma che deriva dalle regole irrazionali (lo dice persino la Corte dei Conti) del Patto di Stabilità interno. Tuttavia faremo la nostra parte, cercando di usare una coperta cortissima per coprire in maniera assai più oculata la domanda di salute. Intanto in questi stessi giorni, tra i cento cantieri che stanno partendo con appalti già effettuati e non trascinati in contenziosi di sorta, molti riguardano la necessaria infrastrutturazione socio-sanitaria del territorio regionale. Poliambulatori, porte uniche di accesso, centri unici di prenotazione, servizi distrettuali che servono a prendere in carico il bisogno di cura e a non abbandonare le persone bisognose di assistenza. Nasceranno centri per disabili come i “dopo di noi” mentre abbiamo continuato a batterci concretamente per l’abbattimento di ogni tipo di barriera per chi convive con l’handicap: per esempio costruendo centri di connettività sociale che consentano, con specifici ausili informatici, di entrare nella rete di internet e di connettersi all’universo-mondo.
Abbiamo puntato molto sulla costruzione di una vera industria creativa. Abbiamo inaugurato o stiamo per inaugurare, in 169 città pugliesi, altrettanti laboratori urbani: che sono vecchi edifici ristrutturati e trasformati in luoghi attrezzati per la creatività e la socialità, ma sono anche incubatori di nuove professioni legate all’economia della conoscenza. Al festival del cinema di Venezia la nostra regione, che negli ultimi due anni ha ospitato oltre centro produzioni cinematografiche, era al centro di una straordinaria attenzione. Qui in fiera vi invito a visitare il cine-porto, che è una vera filiera produttiva legata al cinema. Un altro lo abbiamo voluto a Lecce. Con Apulia film commission, ma poi con il circuito delle sale cinema di qualità, con le residenze teatrali, con i festival, con le fondazioni, abbiamo edificato l’equivalente di un vero e diffuso distretto industriale.
Per noi l’investimento in formazione e cultura è la via maestra per combattere la crisi. E anche il turismo, come può certificare il ministro Brambilla, per il terzo anno consecutivo vede svettare la nostra regione, con una crescente destagionalizzazione. Tra qualche giorno in questi padiglioni incontreremo i duemila giovani che hanno, con il Piano di sviluppo rurale, guadagnato i finanziamenti per il primo insediamento: e una nuova agricoltura, ecologicamente sostenibile, capace di far valere le potenzialità della filiera corta e delle filiere di prodotto ma anche capace di mettersi in rete, e dunque di cooperare, per internazionalizzare le proprie eccellenze, ha bisogno dei giovani, di una nuova generazione che scelga la campagna non come ripiego e marginalità. Ma può funzionare se non faremo sconti all’intermediazione parassitaria, che divora come un cannibale la parte più cospicua del reddito agricolo, e se sapremo imporre regole e controlli in una globalizzazione che per l’agro-alimentare è stata il mappamondo delle contraffazioni e delle sofisticazioni. Il lavoro è il tema che rimbalza, persino con disperazione, dalla vita quotidiana: una domanda talvolta urlata, a cui occorre una risposta di ampio respiro. Urge aprire cantieri, urge schiudere l’uscio di nuove vocazioni produttive, urge difendere apparati industriali che abbiano radici robuste e ruolo strategico.
Il Sud come il Nord spende con affanno per le opere strategiche, e il sito di quel Ministero orfano del Ministro (lo sviluppo economico) ci dice che ancora oggi occorrono dai 12 ai 20 anni per costruire un opera da cento milioni di euro. Noi Regioni veniamo messe sul banco degli accusati per la spesa lenta, eppure non siamo noi le stazioni appaltanti, la predica è malevola e non va mai alla radice del problema. I Ministeri spendono con lentezza estenuante, così l’Anas, le Sovrintendenze, i Comuni. Ma è l’ingorgo normativo e procedurale, insieme alla ragnatela avvolgente dei ricorsi amministrativi, che paralizza la spesa. Qui dobbiamo mostrare una grande capacità riformatrice, il sistema-Paese è in gravissimo affanno, la recessione non è alle nostre spalle: sburocratizzare e modernizzare è una necessità non più rinviabile. Ma ancora non basta. Si perdono posti di lavoro, e tanti, laddove non c’è innovazione di processo e di prodotto, laddove persistono modelli produttivi obsoleti, laddove latitano le politiche pubbliche. Appare illusorio e crudele pensare di divenire più competitivi liberandosi dalle norme che proteggono la sicurezza di chi lavora, in un Paese che fa 1200 morti all’anno sul lavoro. Viceversa occorre puntare sulla qualificazione degli apparati produttivi, sulla cooperazione tra imprese, su politiche statali che accompagnino con incentivi anche fiscali le aziende che innovano e si dotano di lavoro stabile e competente.
Il lavoro, la sua dignità, la sua ricchezza sociale, questa per noi oggi è la sfida. Anche il lavoro spasmodicamente inseguito dai migranti che ci portano ricchezza e a cui offriamo povertà e persino la gelida dogana del razzismo. Il lavoro come diritto contro il lavoro come merce, solitudine, paura. In una nuova alleanza tra lavoro, impresa e saperi. Il Sud è stanco della propria marginalità, stanco di essere depredato sistematicamente (come ci dice la Svimez) dei trasferimenti ordinari e ormai anche della finanza addizionale. Con il nostro salvadanaio si paga tutto, dagli ammortizzatori sociali alle multe delle quote latte. Il Sud che vuole custodire la propria bellezza e la propria storia, che vuole estrarre ricchezza dal proprio patrimonio di luoghi memorie e risorse, che non vuole soffocare nella melma delle mafie, chiede un destino sociale e produttivo capace di affrontare i dilemmi del tempo nostro: il diritto alla felicità delle giovani generazioni, la ricchezza delle esperienze e dei saperi delle donne, una qualità sociale capace di incrociare la qualità ambientale. Il Sud chiede modernità e libertà. Una classe dirigente all’altezza di un tempo così burrascoso ha il dovere di dedicarsi all’ascolto attento e sincero di questa domanda. Il Sud ha smesso di tacere.
Inaugurazione Fiera del Levante
11 settembre 2010
Nichi Vendola