La situazione d’incertezza che ha causato uno stato d’ansia nel paziente che abbia effettuato delle analisi cliniche cagionato dalla mancata diagnosi sul campione prelevato può essere fonte di responsabilità da parte dell’ASL e consentire il risarcimento del danno da stabilirsi in via d’equità.

E’ questo sostanzialmente il principio che è stato stabilito nell’importante sentenza della Corte d’Appello di Firenze la numero 1221 del 06/08/2010 nella causa civile iscritta al n. 371/2004 del ruolo generale degli affari contenziosi civili.

{affiliatetextads 1,,_plugin}Nel caso di specie, infatti, il giudice del gravame ha ribaltato la sentenza di primo grado che aveva visto rigettata la domanda di risarcimento danni da parte di una paziente che si era sottoposta ad accertamenti clinici da parte dell’Asl, in particolare l’esame istologico di una cisti ovarica.

La corte di secondo grado ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno, liquidando in via d’equità la somma d’importo di 10mila euro avendo l’attrice provato lo stato d’ansia conseguente alla mancata comunicazione del risultato a seguito delle analisi a cui si era sottoposta, stante la lesione di quel valore costituzionalmente protetto che è il diritto alla salute.

Secondo i togati, infatti, “Per quanto concerne invece la mancata diagnosi per mancato funzionamento dell’apparecchiatura, si deve ricordare che l’obbligazione gravante sull’Azienda, di fornire il risultato dell’analisi, è di natura contrattuale. L’onere di provare che il macchinario si era guastato per fatto che esulava da responsabilità dell’Azienda (ad esempio, per caso fortuito) e che a causa di detto guasto si era determinata un’alterazione del reperto prelevato alla paziente, spettava all’attuale appellata. In difetto di prova, l’Azienda non può andare esente dalle conseguenze del mancato adempimento dell’obbligazioneNel caso concreto, l’ansia di cui si è avuta testimonianza ha impedito che l’interessata potesse estrinsecare con normalità gli aspetti propri della persona e della vita di relazione, oltrepassando dunque il confine di una mera manifestazione caratteriale per assumere l’entità di una lesione di quel valore costituzionalmente protetto che è il diritto alla salute e che rende risarcibile (seguendo l’insegnamento di quella decisione di legittimità, Cass. Civ. sez. III, 31 maggio 2003, n. 8828, citata proprio dall’appellata) il danno, liquidato secondo equità”.

Secondo Giovanni D’Agata componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” e fondatore dello “Sportello Dei Diritti”, tale sentenza non può che servire da sprono nei confronti delle organizzazioni che gestiscono la sanità, sia pubbliche che private, affinché agiscano nel rispetto costante dei propri obblighi contrattuali e del permanente mantenimento quale “faro guida” del proprio agire del diritto alla salute di tutti i cittadini.

 Nel contempo lo “Sportello dei Diritti” rimane a disposizione per segnalare casi simili e fornire eventualmente assistenza gratuita per i cittadini che si sentono vittime della cosiddetta “malasanità”.