L’uomo dal canto suo, lamentava il fatto che, a fronte di vari piccoli episodi che ne dimostravano scarsa diligenza, la società aveva lasciato correre, passando poi alla sanzione disciplinare rilevando che dalle sue inadempienze non era scaturito un danno alla società.

{affiliatetextads 1,,_plugin}I Giudici di piazza Cavour, respingendo le doglianze del dipendente hanno confermato la ratio della decisione del giudice del gravame secondo il quale “è legittimo il licenziamento intimato al lavoratore per scarso rendimento qualora sia risultato provato, sulla scorta della valutazione complessiva dell’attività resa dal lavoratore stesso ed in base agli elementi dimostrati dal datore di lavoro, una evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente, ed a lui imputabile, in conseguenza dell’enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento, avuto riguardo al confronto dei risultanti dati globali riferito ad una media di attività tra i vari dipendenti ed indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione”.

Secondo Giovanni D’AGATA, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” anche la Suprema Corte si dimostra intransigente sul rendimento sul posto di lavoro ponendo le basi per un giro di vite nei confronti di soggetti lavativi soprattutto quando il lavoro ricade sui colleghi.