Sindacati dell'Arsenale di Taranto: si preannunciano esuberi, tagli e assunzioni, com'è possibile?
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In realtà si perdono alcune centinaia di posti di lavoro nell’immediato – senza che nessuno dica in che modo si pensa di ricollocare questi dipendenti – poi se ne perdono molti altri nel medio periodo – anche per questi lavoratori non si sa {affiliatetextads 1,,_plugin}come si intende “eliminarli” – per finire – fra sette anni – con assunzioni mirate delle quali si ignora, se mai vi saranno, quale tipologia contrattuale – se a tempo determinato o indeterminato per intenderci – sarà applicata. Questo in estrema sintesi quanto prospettato evitando, volutamente, di fare numeri anche perché poco importano alcune unità in più o in meno, non è questo il punto. Le due informazioni, quella di settembre e quella attuale sono di così grande impatto – tutto in negativo per i dipendenti – che si rimane interdetti per la scarsa reazione ad un attacco pesantissimo che cambia profondamente il quadro di riferimento del comparto.
Tutte le scelte del Governo sul tema sono indirizzate a distruggere un quadro consolidato per sostituirlo con uno nuovo. Compito precipuo del CRAMM (Comitato Riconversione Arsenali Marina Militare) è stato quello di elaborare uno schema di contratto di lavoro con connotazioni industriali caratterizzato dalla natura prettamente pubblica del fine perseguito. Si stenta a capire che cosa davvero voglia dire il discorso contorto ed involuto scelto: Un contratto “con connotazioni industriali” che significa? “la natura prettamente pubblica del fine perseguito”? Per prima cosa si decide di cambiare il comparto di appartenenza degli arsenali passando da quello “Ministero Difesa” comparto Ministeri a quello “Ente pubblico non economico” comparto omonimo. I geni del CRAMM tra cui, è bene non dimenticare, allignano Ammiragli e Dirigenti civili che hanno diretto l’Arsenale di Taranto per lunghi anni, si rendono ben conto del fatto che un arsenale difficilmente potrà mai essere inserito in un comparto “amministrativo” come quello dell’EPNE così com’è, per cui tirano fuori dal cilindro l’istituzione di un nuovo “Settore industriale della Difesa” per lenire le macroscopiche cause che rendono il comparto scelto “poco idoneo se non addirittura incongruo” (lo affermano chiaramente loro!) Tale soluzione si propone, inoltre, di “integrare” o “derogare” il CCNL di comparto mutuando i contenuti del contratto di lavoro dell’industria d’altronde, si dice, non è forse vero che le recenti impostazioni spingono il Pubblico Impiego verso una convergenza sempre più stringente con quelli del privato? (BRUNETTA docet) La flessibilità delle mansioni aggravata con l’introduzione del lavoro a termine (precario) tra le opzioni cui sarà possibile ricorrere è solo uno dei punti di contatto che si mutua dai pessimi contratti del privato.
La premialità (reddito sino ad oggi garantito dal FUS) diviene esigibile solo in presenza di attività renumerata conto terzi che porti fondi “non pubblici” nelle casse dell’Ente: ergo niente attività=niente premialità. Piena e incondizionata flessibilità in tema di orario di lavoro che deve adattarsi alle esigenze produttive della controparte con buona pace delle conquiste in tema dei tempi di vita e delle esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori. Ma non basta ancora, viene vagheggiato un vergognoso ritorno all’archeologia industriale con l’introduzione del “cottimo” una modalità lavorativa ampiamente in vigore negli anni 60/70. Ora si può ricamare quanto si vuole su tutto ciò ma, alla fine, se non si vuole capire che l’intero settore è destinato in tempi brevi alla completa privatizzazione che porterà la massima flessibilizzazione del rapporto di lavoro con un pesante arretramento delle condizioni dei lavoratori azzerando storiche conquiste in funzione della massimizzazione del profitto a favore dell’imprenditoria stracciona che ha sempre vissuto succhiando alla mammella degli appalti pubblici usa a privatizzare i profitti e a collettivizzare le perdite, allora vuol dire che la partita è conclusa. La controparte vincerebbe per abbandono e a niente serve il tentativo di accreditarsi come coloro che hanno a cuore il futuro dei giovani. Tentare di far digerire a diverse centinaia di lavoratori l’idea che devono immolarsi oggi – senza troppo protestare – per consentire in un futuro nebuloso l’impiego di qualche centinaia di giovani è davvero operazione becera. Le chiacchiere sulla riqualificazione alla quale dovrebbero essere avviata la quasi totalità dei lavoratori è un altro ballon d’essai: dove sono i soldi visto che in finanziaria non c’è un euro per quella esigenza? Come si riqualifica personale demotivato dall’età media di 55 anni? Ma non basta ancora, neanche la rassicurazione che la nuova portaerei Cavour farà base a Taranto può essere utilizzata per rassicurare le masse dolenti e spaventate! Già, perché leggendo attentamente l’intera documentazione sin qui prodotta, accuratamente nascosta tra fiumi di parole spesso di difficile comprensione per l’ignaro lettore, spunta una frasettina che rimette tutto in discussione quando paventa tra le opzioni disponibili per la contro parte quella di una sempre possibile “ridistribuzione ottimale dei carichi di lavoro tra gli Stabilimenti a prescindere dalla base di appartenenza delle UUNN” In definitiva, al di la della corretta comprensione di una documentazione estremamente articolata e della difficoltà oggettiva di doversi confrontare con una endemica mancanza di fondi a nulla serve ragionare su un piano appositamente costruito in modo da dosare sapientemente gli elementi in una scansione temporale che mischia le carte lasciando sullo sfondo l’esca costituita da improbabili scivoli verso la pensione o altri sostegni salvifici il tutto mentre ribadisco, non viene previsto nemmeno un euro in finanziaria per l’attuazione del piano rinviando questo “piccolo” particolare alla svendita dei beni della Difesa tramite la Difesa Servizi.
La contro parte immagina di portare a termine una vera e propria rivoluzione a costo zero scaricando tutto sui lavoratori che ancora oggi – e questo è davvero diabolico – non credono sino in fondo alla possibilità di licenziamenti! Sono passati inutilmente quasi dodici anni dalla precedente fase di ristrutturazione riduttiva targata Andreatta/Saragoza? In quel maggio del 1998, in Arsenale si costituì un comitato di lotta contro la ristrutturazione e contro il protocollo firmato da gran parte delle organizzazioni sindacali, oggi vogliamo riproporlo ai lavoratori, a quelli che non considerano ancora chiusa la partita. Dopo aver presentato una piattaforma alternativa in tempi non sospetti, ricordiamo a tutti gli attori della vertenza che a fasi alterne hanno trovato percorsi unitari, a volte anche in contrapposizione con le centrali sindacali nazionali, che gli unici obiettivi che sono stati e sono ancora – ne siamo certi - possibili da condividere sono quelli di non perdere un solo posto di lavoro e mantenere pubblico l’arsenale. Oggettivamente questo piano taglia posti di lavoro e ci traghetta verso la privatizzazione. Ci aspettiamo un minimo di coerenza. Ci aspettiamo una lotta vera non uno spot pubblicitario. Per quello che ci riguarda, come gruppo di lavoratori, non intendiamo cedere di un millimetro sulla difesa di tutti i posti di lavoro e sul mantenimento della natura pubblica dell’Arsenale.
Luigi Pulpito Rappresentante dei Lavoratori