I giudici del Palazzaccio hanno rilevato come il default della nazione sudamericana fosse ampiamente prevedibile, tanto che per le banche vi era il dovere d’informare i propri clienti dell’elevato rischio dell'investimento.

Nel caso in questione, l’istituto di credito non aveva adeguatamente informato i clienti della rischiosità dell'operazione pur avendo la consapevolezza dell'imminenza del crack in Argentina, mentre avrebbero dovuto indicare che i titoli argentini avevano delle caratteristiche di rischio non adeguate al loro profilo di investitori.

Nel ricorrere al giudice di legittimità avverso la condanna subita, la banca tra l’altro aveva motivato il proprio ricorso evidenziando che i clienti avevano sottoscritto un documento accettando le condizioni di investimento. Ma secondo gli ermellini il modulo in questione, non è causa di esclusione della responsabilità della banca perché la sottoscrizione di un modulo  per quanto testualmente affermato nella decisione, "in ordine alla propria consapevolezza, conseguente alle informazioni ricevute, della rischiosità dell'investimento e della inadeguatezza dello stesso rispetto al suo profilo di investitore, non costituisce dichiarazione confessoria, in quanto è rivolta alla formulazione di un giudizio e non all'affermazione di scienza e verità di un fatto obiettivo".

Significativa è anche l’entità della condanna inflitta nei confronti della banca: la Suprema Corte ha confermato anche la sentenza della Corte d'Appello nella parte in cui aumentava il risarcimento in riferimento all’entità degli interessi maturati. Se, infatti, il giudice di prima istanza aveva condannato l’istituto di credito a pagare i soli interessi a partire dalla data della domanda giudiziale sino a quella dell'effettivo rimborso, in Appello gli interessi venivano fatti decorrere dalla data dell'investimento.