Semplicemente Pugliesi - La mozione congressuale di Michele Emiliano
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Oggi un sempre maggior numero di cittadini guarda al partito come ad una struttura staccata dalla vita quotidiana degli italiani, un carrozzone da congresso, impegnato in arcani conteggi di tessere che nascondono sovente miseri contrasti personali.
Io immagino il PD pugliese come un’organizzazione poderosa, moderna, efficiente, ma soprattutto utile ai pugliesi, non ai militanti.
Il nuovo PD è su internet e nelle sezioni, è in rete, ma si deve toccare ed ascoltare. Perché è un partito aperto e vero, che sa contaminarsi e cambiare, sa arricchirsi attraverso le esperienze di tutti coloro che vogliono rendere più giusto e bello il loro quartiere o il mondo intero.
Il partito professionale, senza professionisti della politica
Il Partito Democratico deve anche essere un appello ai “liberi e forti”, avrebbe detto Don Luigi Sturzo, a quelli che non si rassegnano al declino italiano. A chi ha ancora la forza di indignarsi. A chi vuole reagire, ma con la compostezza, la sobrietà e il senso delle istituzioni di Enrico Berlinguer, di Sandro Pertini, di Giovanni Falcone, di Paolo Borsellino, di Oscar Luigi Scalfaro, di Carlo Azeglio Ciampi, di Giorgio Napolitano.
Il PD deve essere il luogo dove si impara a liberarsi del carrierismo senza meriti. Dove si impara dagli insegnamenti di veri pugliesi come Peppino Di Vittorio, Giuseppe Di Vagno ed Aldo Moro, che la politica è servizio non gioco di potere e che per questa idea vale la pena addirittura mettere in gioco la propria vita.
Nel PD che ho in mente, la politica si fa con professionalità, ma senza “professionisti della politica”.
Non è con la politica che ci si guadagna da vivere. Nessuno che svolga funzioni politiche nel PD dovrà gravare sulle casse del partito.
Ogni dirigente dovrà avere il suo lavoro e, contemporaneamente, svolgere il suo ruolo nel partito, senza assurdi divieti di “doppio incarico”, tantomeno per chi lavora nelle istituzioni.
Perché mai un sindaco, un consigliere provinciale o un assessore, non dovrebbero poter dirigere il PD? Sono questi impegni forse meno gravosi di quelli di un medico, di un avvocato, di uno studente? O forse qualcuno ha in mente di chiedere agli avvocati, ai medici, agli studenti, di abbandonare i loro impegni per poter dirigere il PD? Non scherziamo. Il proprio lavoro, tanto più quello nelle istituzioni, rappresenta un arricchimento e una risorsa indispensabile per chi voglia guidare il cambiamento del Partito Democratico.
Il partito della buona amministrazione e della sobrietà come stile di vita.
Da segretario del PD pugliese ho lavorato quasi due anni per dar vita a questo partito. E nonostante le difficoltà che tutti in Italia abbiamo incontrato in questo cammino, sono soddisfatto di ciò che è stato realizzato qui in Puglia.
Mentre il progetto nazionale veniva messo a dura prova dalla inopinata caduta del governo Prodi e dalle durissime lotte interne tra le correnti, mentre il segretario nazionale si dimetteva esasperato dai furibondi attacchi fratricidi e dalla consapevolezza dei suoi errori, in Puglia abbiamo costruito le basi organizzative e preparato le elezioni europee ed amministrative.
In un anno e mezzo di segreteria e di vita del partito ho dovuto affrontare tre elezioni in condizioni difficilissime. Avevamo dietro le spalle l’inutile progresso percentuale delle politiche del 2007 e davanti i sondaggi che ci davano in calo di dieci punti in tutta Italia, pronosticando per le nostre amministrazioni locali sicure sconfitte. E questo sia nei luoghi dove era scarso il gradimento per l’azione di governo, sia dove gli indiscutibili successi amministrativi soffrivano del vento di destra che soffiava vigoroso dopo l’ennesima vittoria alle politiche di Silvio Berlusconi.
Me le ricordo, le facce, all’indomani di quell’aprile del 2008. Mi ricordo gli occhi bassi e la rassegnazione, mi ricordo i presagi di sciagura: troppo vicina la nuova scadenza elettorale del 2009 per provare a risalire la china. E invece, abbiamo scelto di combattere contro quello che, una volta di più, qualcuno voleva presentarci come un destino ineluttabile.
Ed è arrivato, finalmente, il giugno del 2009. Certo, alle europee, il PD ha reso al movimento di Nichi Vendola tutto ciò che avevamo conquistato alle politiche del 2007. Ma il centrosinistra ha retto. E se solo si analizzano i dati con attenzione, si deduce una assoluta complementarietà politica tra PD e Sinistra e Libertà.
Al punto che alle comunali di Bari la lista di Nichi rende nuovamente alla lista del sindaco tutto ciò che aveva strappato alle europee nel vano tentativo di far cogliere al Presidente un successo più politico che elettorale.
E poi, su tutti, il dato incredibile di Bari città, dove alle europee il centrosinistra riesce ad ottenere gli stessi voti del centrodestra.
E se aggiungiamo l’UDC, stabilmente parte dell’amministrazione comunale, la coalizione conquista addirittura una maggioranza politica (un risultato straordinario se si pensa che solo cinque anni fa, mentre a Bari vincevamo le comunali con 13 punti di vantaggio, nello stesso giorno, dall’urna delle europee, il centrodestra ci distanziava di ben 15 punti).
Se pensiamo che anche nel resto della Puglia i risultati sono simili, è facile capire qual è stato “il miracolo pugliese”: in due anni abbiamo saputo trasformare il consenso guadagnato sul campo dalle amministrazioni locali in consenso politico per il centrosinistra.
E questo nonostante le polemiche e il gossip mediatico-giudiziario degli ultimi sei mesi. E nonostante gli errori commessi da nostri esponenti che hanno vissuto il loro ruolo istituzionale senza il necessario distacco e la sobrietà che ad esso si richiede. Se non siamo di fronte a una vera e propria questione morale (e per dire che quest’ultima non esiste occorre attendere con fiducia il lavoro dei magistrati), si tratta certamente di vicende nelle quali ho dovuto prendere, insieme al Presidente Vendola, decisioni gravi delle quali assumo comunque pienamente la responsabilità.
Accettare le immediate dimissioni di due importanti assessori del nostro partito, anche in mancanza sia pure di un avviso di garanzia, è stato difficile, ma necessario per tutelare un’esperienza di governo, quella di Nichi Vendola, che costituisce anche per i prossimi cinque anni l’unica speranza di cambiamento.
Non posso non ringraziare Sandro e Alberto per il loro gesto, assolutamente inusuale in questi tempi caratterizzati dal generalizzato e parossistico attaccamento a qualsivoglia poltrona. Ma devo invitare tutti, per il futuro, a percorrere la strada di un cambiamento interiore.
Il rispetto sostanziale delle regole non basta e non deve più bastare. Negli atteggiamenti pubblici e in quelli privati, quando camminiamo per strada, quando ci riuniamo in una sezione, o quando andiamo (o scegliamo di non andare) a una festa, dobbiamo sempre ricordare che siamo rappresentanti del popolo italiano.
Se saremo capaci di elevare la sobrietà, la responsabilità e il rispetto delle istituzioni a nostri valori guida, di più, a nostro stesso stile di vita, tutelare l’immagine del PD sarà un effetto del tutto automatico e assai poco impegnativo.
Il partito che vuole vincere le regionali del 2010
Mi ricandido perché nessuno dimentichi i risultati dell’amministrazione guidata da Nichi Vendola. Leggo sui giornali che anche le ultime resistenze sul suo nome, come candidato alle prossime elezioni regionali, sono finalmente cadute. Considero questo il più importante risultato conseguito dalla presentazione della mia candidatura a segretario regionale del PD. Ma è chiaro che si tratta di un risultato facilmente ribaltabile se dovessi tornare indietro.
Ed è per questo che non tornerò indietro.
Mi candido dunque da semplicemente democratico, da senza corrente.
Mi candido perché qualcuno, con la scusa di combattere il “nuovismo”, vuole combattere in verità anche il nuovo, il giusto e il buono che si è realizzato in Puglia in questi anni. E questo per ragioni di pura sopravvivenza personale. Non possiamo permettere a nessuno di tornare al passato. Perché il passato, qui in Puglia, si chiamava destra, ovunque.
Si chiamava Fitto.
E in quel passato si doveva chiamarlo, Fitto, per chiedere il permesso di essere eletti, per chiedergli, forse, persino il permesso di esistere.
DS e Margherita vivevano allora uno stato di succube minorità politica che non consentiva altro che negoziare col padrone.
Una minorità che continuiamo a scontare, se è vero che di Fitto ci siamo liberati, ma di Berlusconi non ancora. Ecco. Forse i nostri leader nazionali dovrebbero pensare un po’ di più a come liberarsi di Berlusconi piuttosto che a come liberarsi della nuova classe dirigente pugliese del PD e del centrosinistra. Classe dirigente, giova ricordarlo, nata senza tessere, ma con centinaia di migliaia di voti liberi ed entusiastici.
Il consenso, la buona amministrazione, l’amore per le comunità e per i territori. Ecco cosa ha portato al successo il centrosinistra pugliese. Ed ecco quindi l’altra ragione per cui mi candido. Proprio quella ragione che per alcuni mi rende incompatibile, è per me la ragione più coerente e stimolante.
Mi candido perché sono il sindaco di Bari. Di più, mi candido perché sono per la seconda volta il sindaco di Bari, eletto con venti punti di vantaggio su un avversario e sul suo padrino, ministro della svendita del sud, entrambi simboli del potere eterno e invulnerabile della destra pugliese.
Nel 2004, per la prima volta, proprio nella roccaforte di Bari, quel potere eterno e invulnerabile si scoprì provvisorio e debole. Fu lì, partendo a febbraio dal quartiere ghetto di Enziteto e arrivando a giugno in piazza Prefettura con le bandiere del centrosinistra al vento, che cominciammo a riscrivere una storia che sembrava immutabile. E i risultati, un anno dopo, nella competizione regionale, apparvero chiari. Le stesse bandiere tornarono a sventolare. Oggi più che mai sappiamo che, se non parte da Bari, la vittoria del centrosinistra pugliese del 2010, non ha speranze. Perché bisogna spostare da una parte all’altra decine di migliaia di voti, e non possiamo riuscirci solo con l’UDC e Adriana Poli Bortone, pure assai utili alla causa.
Lo ripeto. Il segreto è governare bene, creare consenso e farne tesoro politico. I nostri amministratori devono candidarsi a ruoli dirigenti nel PD, costruire patti di governo con il centrosinistra e allargare il consenso. Lasciare gli amministratori fuori dal partito, consegnarli a lotte intestine, tra correnti e potentati locali, delegittimarli fino a relegarli a ruoli da comparsa o prestanome, significa staccarsi definitivamente dalle persone, portare il PD fuori dai problemi reali, disperdere e annullare un consenso consolidato, potenzialmente in continua espansione. In altre parole, ancora una volta, suicidarsi.
Un delitto tanto più esecrabile se compiuto alla vigilia del marzo del 2010.
E marzo 2010 è adesso.
E chi non sente nell’aria l’odore del campo di battaglia, è distratto oppure impaurito.
Io lo sento forte, quell’odore, e mi candido a guidare il partito, a battermi per la sua vittoria, a ripetere ciò che abbiamo già fatto appena qualche settimana fa.
Semplicemente Pugliesi: senza corrente, ma con tanta energia
Mi candido perché la Puglia non torni indietro.
Perché i ragazzi di Emilab, quello straordinario gruppo di cento volontari che ha animato la mia campagna a Bari, possa trasformarsi idealmente in Democratic Lab.
Perché tutti i ragazzi pugliesi vedano nel PD un’occasione, l’unica, per restituire alla politica l’emozione e la dignità.
Ecco perché, senza corrente, ma con tanta energia, mi candido con una mozione che si chiama “Semplicemente Pugliesi”. Perché semplicemente pugliese sarà il nostro PD, nel quale le federazioni provinciali agiranno in autonomia, garantite dalla segreteria regionale. Sarà un vero partito federale che funzioni, capace di decidere il suo destino, quello della Puglia e di influenzare con scelte forti e nette anche quello del partito nazionale e, quindi, dell’intero Paese.
Il PD pugliese ha vissuto per troppo tempo con lo sguardo rivolto a Roma.
Io vorrei che tornassimo a guardare prima di tutto dal Capo di Leuca al Gargano, perché se non siamo in grado di contare in casa nostra, non si spiega per quale ragione i pugliesi che ancora non si fidano del PD dovrebbero smettere di essere la plebiscitaria armata di Berlusconi.
Oggi abbiamo il dovere di far tornare in Puglia il PD regionale. E, semmai, portare le istanze e le ragioni del PD pugliese in quello nazionale, non viceversa. È un dovere politico e insieme un dovere morale, tanto più stringente quanto più si fa intensa l’azione di un governo nazionale ormai completamente schiacciato sulle deliranti ragioni della Lega. Un governo schizofrenico, che mentre annuncia oscuri “piani per il Mezzogiorno”, tra gabbie salariali e sottrazione dei fondi FAS, non prova più nemmeno imbarazzo nell’infliggere, con gli atti e con le parole, l’ormai quotidiana dose di umiliazione alla gente onesta del sud.
Il partito unito
Di fronte a questa offensiva dobbiamo essere forti e uniti.
Per questo la mia è una mozione a vocazione unitaria.
Che chiede per la Puglia il sostegno di tutte le mozioni nazionali.
Se credete a questo progetto attivatevi.
Aprite comitati per “EMILIANO SEGRETARIO” e per la lista “SEMPLICEMENTE PUGLIESI”. Non faremo barricate, non vogliamo guerre fratricide, noi. Nei nostri comitati sono benvenuti anche coloro che sostengono diverse mozioni nazionali.
Bersani, Franceschini e Marino non sono capi fazione. Sono convinto che, anzi, ci aiuteranno a crescere, a scegliere da soli, in Puglia, i nostri segretari regionali, i nostri deputati, i nostri consiglieri regionali, i nostri sindaci e presidenti.
Bersani, Franceschini e Marino sono persone perbene, che vogliono cambiare in meglio l’Italia, rafforzando il PD.
E anche Sergio, Guglielmo ed Enrico potrebbero facilmente riconoscersi in questa mozione “semplicemente pugliese”. Ed io sarei felicissimo di accoglierli.
Ci avevo provato, prima della presentazione delle candidature. Non smetterò di provarci, con la proverbiale pazienza del “popolo delle formiche”. Possiamo ancora riuscire a condividere i nostri obiettivi e a unificare le quattro mozioni.
Come recita un detto pacifista dei tempi della guerra fredda, “la logica dei blocchi blocca la logica”. Bene, non è questo il momento di bloccarci, non è questo il momento di dividerci. Possiamo e dobbiamo ancora lavorare insieme, per il congresso e per la Puglia. Come succede in un partito vero, di quelli che cambiano la Storia.
Possiamo riuscirci. Insomma, “Yes we can”, tradotto meglio.