La debacle della «protesi» di Silvio. Per il ministro è la fine di un’epoca
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Un salto di qualità espressiva anche per una personalità - Fitto - mai tenera con l’avversario e che rivela molto più del significato intrinseco delle parole usate: la paura della sconfitta. Che è arrivata puntuale, perché prevista dallo stesso "gran capo" che giudicava, nel confronto con la fortissima personalità di Nichi Vendola, insufficienti le qualità di bravo amministratore, di persona perbene che anche gli avversari hanno sempre riconosciuto a Rocco Palese. Il quale non solo non ha portato il valore aggiunto della sua lista al risultato complessivo, ma è stato travolto dal voto, dopo aver accettato di partecipare alla manifestazione del giuramento di piazza San Giovanni, senza immaginare quali sensazioni gli schermi televisivi rimandavano da quella scena, interpretata da Palese sorridendo, in nome di un rapporto fortissimo, ma squilibrato con il ministro.
Ma è proprio lui, Raffaele Fitto, colui che esce da questi due giorni da vero sconfitto, perché lui ha voluto candidare Palese, sfidando le ire di Silvio Berlusconi, che avrebbe preferito sostenere Adriana Poli Bortone. Perché è lui che si è sempre sentito e si è rappresentato in Puglia come il dominus di Forza Italia prima e del Pdl poi. Perché è lui che ha sempre "comandato" in un partito in cui le voci fuori dal coro erano derubricate a "mattane". E’ una giornata terribile per il ragazzo cresciuto in fretta a pane e politica, in quella scuola democristiana che, al di là di errori anche gravi, non smetteva un tratto di eleganza inimmaginabile in un’epoca come la nostra. Salvatore Fitto - ricordava qualche anno fa una impiegata del gruppo regionale di Rifondazione comunista - «era un vero signore, oltre che il presidente. Tutte le mattine entrava nella nostra stanza per salutarci e quando èmorto lo abbiamo pianto davvero». Il figlio Raffaele appartiene, invece, a quella schiera di uomini e donne politici che, al di là della più o meno accentuata competenza e bravura professionale, fanno prevalere l’appartenenza fideistica, che non sempre paga. E’ noto che da tempo non era più nelle grazie del premier, che gli aveva rimproverato di non averlo «protetto» da escort ingombranti e invadenti al punto da finire immortalate accanto a lui in foto che hanno fatto il giro del mondo. Ed è altresì noto che il premier non ha gradito l’organizzazione della manifestazione barese a chiusura della campagna elettorale. Insomma, da tempo non era più considerato «la mia protesi» - questa la definizione usata dal Cavaliere per l’allora presidente della Regione - bensì una stella in declino che per tornare a risplendere aveva puntato tutto sulla vittoria di Palese.
Non è andata bene a Raffaele Fitto, che della guerra a Vendola, che lo aveva sconfitto nel 2005, aveva fatto quasi un affare personale; tuttavia il ministro salentino dalla sua ha il tempo. Ha poco più di 40 anni e in una terra che, a parte pochissime eccezioni, difetta di veri leader, di uomini politici bravi - a destra come a sinistra - c’è da giurarci che farà in fretta a rimettersi in sella e a marciare come uno schiacciasassi. Mentre Palese resterà a fare il suo dovere, da capogruppo dell’opposizione, magari con la promessa di uno scranno aMontecitorio come risarcimento per una fedeltà a prova di tutto. E poi c’è il partito. Cosa accadrà nel Pdl pugliese che fatica ad amalgamare le sue anime fondatrici? E che a differenza del 2005 non ha fatto sentire il proprio fiato sul collo del "nemico" Nichi Vendola? E’ prematuro immaginare le ricadute di questa sconfitta, ma non è difficile ipotizzare che saranno pesanti
Rosanna Lampugnani - Corriere del Mezzogiorno