Taranto, così rivive l’acquedotto del Triglio
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Il primo lavoro di restauro e consolidamento è costato 881mila euro di fondi Por, gestito dalla Icores di Pozzuoli che s’è affidata a una ditta romana specializzata in restauri archeologici. Per riempire le arcate svuotate dal tempo e dalle intemperie acutizzate dal contagio con le vicine ciminiere i restauratori hanno utilizzato tutto materiale naturale, pietrisco, calce, tufo. È stata anche realizzata una banchina di contenimento per compensare eventuali slittamenti della costruzione romana. La ricostruzione delle parti più degradate delle arcate è avvenuta nel tratto lungo la strada provinciale Taranto-Statte, alcune centinaia di metri di vestigia integre e visibili, ora riportate alla dignità che un’opera di ingegno merita. L’intervento è stato voluto dall’assessore Lucio Pierri quando aveva la delega ai Beni culturali e l’urgenza è stata determinata dall’aggravarsi dello stato di conservazione delle arcate dell’acquedotto, interessate da crolli di parte della struttura. «Ne rimangono ancora un centinaio da restaurare — ammette l’assessore Pierri— speriamo di riuscire a trovare le risorse necessarie. Nel frattempo stiamo lavorando su Palazzo Pantaleo e puntiamo anche a recuperare il progetto del delfinario».
{affiliatetextads 1,,_plugin}Per evitare lo sfarinamento del materiale di composizione delle arcate nell’intervento, oltre all’illuminazione che valorizza una parte del patrimonio archeologico urbano, è stato previsto il trattamento dei materiali con speciali prodotti utili a preservarli dall’azione corrosiva degli agenti esterni. L’acquedotto del Triglio è calato nella zona industriale e ne assorbe tutti gli elementi inquinanti che, durante i decenni, hanno corroso le pietre. I lavori sono durati circa sei mesi. Collocato tra Statte, Crispiano e Taranto, l'acquedotto del Triglio risale al 123 avanti Cristo, almeno nel primo tratto che va dalle sorgenti fino a Statte.
Cesare Bechis - Corriere del Mezzogiorno